I
sacchetti di plastica per frutta e verdura si possono portare da casa purché
“idonei a preservare l’integrità della merce e rispondenti alla caratteristiche di legge”: lo stabilisce il
Consiglio di Stato con una sentenza di aprile 2018, mettendo ordine in una questione ampiamente dibattuta nei primi mesi dell’anno.
Parliamo, infatti, della polemica sui
sacchetti a pagamento divampata a gennaio quando i sacchetti leggeri e ultraleggeri utilizzati per ortofrutta, carne, pesce, prodotti di gastronomia e panetteria sono stati sostituiti dagli
shopper biodegradabili e compostabili (con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40 per cento). La decisione risponde ad una giusta richiesta dell’Europa di
ridurre l’utilizzo di plastica, ma il legislatore italiano ci ha messo lo zampino e nell’applicazione della norma ha imposto che i sacchetti non possano essere distribuiti a
titolo gratuito.
L’articolo 9-bis della legge di conversione 123/2017 -il cosiddetto decreto Mezzogiorno approvato lo scorso agosto- prevede infatti che
“il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite”. Tradotto: i
consumatori si ritrovano a pagare tra 1 e 5 centesimi per i
sacchetti della grande distribuzione, mentre nei
piccoli esercizi il prezzo può arrivare fino a 10 centesimi.
I sacchetti si possono portare da casa? Inizialmente si era detto di no per ragioni igieniche, ma anche pratico-economiche: esiste infatti un problema di
tara per cui portando il sacchetto da casa è difficile utilizzare correttamente la bilancia a seconda della busta. Con la sentenza del Consiglio di Stato, quindi la situazione si ribalta: i sacchetti si possono portare da casa, riducendo così realmente gli sprechi.
Quello che serve per risolvere alla radice ogni problema è una circolare congiunta tra ministero dell’Ambiente e della Salute che definisca come idonee e rispondenti ai requisiti anche le multi-bag lavabili.
I DUBBI DEI CONSUMATORI
Le legge sui sacchetti ha suscitato più di qualche perplessità tra i consumatori italiani: la
direttiva Ue 2015/720, che appunto impone di ridurre l’utilizzo della plastica ed è stata recepita dalla norma italiana, non prevedrebbe infatti l’obbligo di pagare i sacchetti ultraleggeri. Perché nel nostro Paese invece sono i consumatori a doversi sobbarcare questi oneri?
Non è chiaro poi il motivo per cui, in nome della
sostenibilità, si è scelto di privilegiare questi
sacchetti di plastica biodegradabile (che comunque contengono una seppur minima percentuale di plastica) e non incentivare ad esempio l’utilizzo della carta.
A ciò si aggiunge una preoccupazione legata alle
abitudini di consumo. La scelta di
prodotti sfusi è sempre consigliabile per costo e freschezza, ma non creiamo così forse il rischio di indurre i consumatori ad acquistare prodotti confezionati (magari anche solo per protesta e insofferenza verso quello che è considerato un sopruso)? Se così fosse finiremmo per produrre più rifiuti di prima!
In conclusione resta l’amaro in bocca per il metodo adottato dal nostro legislatore con una specie di
blitz di inizio agosto, inserendo questa norma in un provvedimento che non c’entra niente e -soprattutto- discostandosi da quanto previsto dalla
Direttiva europea che, quanto ai costi dei sacchetti, lasciava l’onere a carico del consumatore come una delle possibili strategie per ridurre il ricorso ai sacchetti.
Quel che invece un
legislatore attento ai cittadini avrebbe dovuto fare era di imporre anche un prezzo massimo per i sacchetti. E invece, si impone l’obbligo di utilizzo dei sacchetti (e pesanti sanzioni per i contravventori), ma poi si lascia libero l’esercente di fare il prezzo con il rischio di
speculazioni nei prossimi mesi.
COME DIFENDERSI?
Come difendersi, allora? Per prima cosa facendo di necessità virtù: il nuovo sacchetto ultraleggero è compostabile e quindi può essere utilizzato per il
conferimento dell’umido, evitando così l’acquisto di sacchetti specifici, ma a patto di non riempirlo troppo considerato che si tratta di materiali poco resistenti. C’è poi l’opzione di portarsi i
sacchetti o le
retine da casa (adesso confermata dal Consiglio di Stato) per confezionare frutta o verdura sfusa, ma il dubbio è che i supermercati non sono attrezzati per gestire una massa eterogenea di shopper di fattura e peso diversi, per questo è necessario una circolare che stabilisca le linee guida da seguire.
D’altra parte la
Gdo sta perdendo un’occasione: quella di farsi sentire in questo dibattito offrendo soluzioni che vengano incontro al consumatore! Potrebbe offrire i sacchetti ad un prezzo infinitesimale e non solo: magari facendo ricorso alla fantasia (che non manca nelle tamburellanti campagne pubblicitarie di questo o quel supermercato), dimostrarsi davvero vicina alle persone (e all’ambiente) prendendo esempio da quel che accade altrove dove alcune insegne hanno introdotto propri
imballi riutilizzabili per alimenti sfusi, denominati
Multi-Bag, realizzati in cellulosa certificata FSC. Con questa misura, una catena svizzera afferma di aver ridotto il consumo di sacchetti di plastica alla cassa di oltre l’85 per cento senza imporre sovrapprezzi ai consumatori (se non il costo iniziale della sporta).
Chissà che adesso, dopo la sentenza del Consiglio di Stato non si approfitti per mettere un po’ d’ordine nella questione senza nascondersi dietro lungaggine burocatiche e regolamenti dal dubbio senso!
Autore: Unione Nazionale Consumatori
Data: 5 aprile 2018