Dopo ben 30 mesi, 894 giorni per la precisione, il 2 agosto il Senato ha approvato il disegno di legge sulla concorrenza, ora diventato legge dello Stato. Era il lontano 20 febbraio 2015, infatti, quando il Consiglio dei ministri dell’allora Governo Renzi approvò la bozza della prima legge annuale per il mercato e la concorrenza. Norma annuale per modo di dire, considerato che nei due anni e mezzo che sono stati necessari per vararla il Parlamento ne avrebbe dovute votare ben 3 di leggi “annuali”.
D’altronde è la prima volta che si è cercato di dare attuazione all’obbligo della legge sviluppo del 2009 di approvare annualmente una legge sulla concorrenza.
Un iter parlamentare intricato, con 4 passaggi tra Camera e Senato, che la dice lunga sulle divisioni tra i partiti e al loro stesso interno. Un tira e molla che dimostra il potere delle varie lobby, e quanto poco questa legge fosse considerata una priorità per questo Paese.
Un fatto gravissimo. Oggi in Italia, per via delle mancate liberalizzazioni, oltre che delle troppe tasse, abbiamo il triste primato di avere le banche, le assicurazioni, l’elettricità, il gas e la benzina tra le più care d’Europa. Tutte spese obbligate che contribuiscono ad impoverire le famiglie e che riducono la competitività delle nostre imprese. Le liberalizzazioni rappresentano l’unica possibilità di aiutare le famiglie ad arrivare alla fine mese, senza oneri per lo Stato, senza peggiorare i nostri conti pubblici, gratis!
Basterebbe decidere di stare dalla parte dei consumatori invece che dalla parte delle banche, delle assicurazioni, degli operatori telefonici, delle compagnie che vendono energia elettrica e gas, insomma delle varie lobby che difendono i loro interessi e privilegi e approfittano delle loro rendite di posizione. Una cosa legittima e comprensibile, naturalmente. Meno comprensibile è quando la politica non guarda all’interesse generale ma a quello delle singole categorie, facendosi dettare da loro l’agenda. Come è avvenuto in questa occasione, dove il solito assolto alla diligenza ha trasformato la legge sulla concorrenza nel suo contrario. Il testo varato è talmente brutto che se la legge non fosse stata approvata sarebbe stato molto ma molto meglio per le tasche delle famiglie. Gli svantaggi per i consumatori, infatti, sono sicuramente superiori ai piccoli miglioramenti.
Basta la fine del mercato tutelato nel settore dell’energia, previsto a partire dal 1° luglio 2019, per esprimere un giudizio negativo sull’intero provvedimento, considerato che non vi può essere alcuna concorrenza fino a che, per la luce, i primi cinque operatori detengono l’87,8% del settore domestico e per il gas i primi tre gruppi controllano il 44,8% del mercato. Si è fatto l’opposto di quello che si sarebbe dovuto fare: prima si dovevano creare le condizioni di un’effettiva competizione e poi si poteva eliminare il mercato tutelato, non viceversa!
Attualmente solo il 32-33% dei clienti domestici è passato al mercato libero dell’energia e, mediamente, hanno finito per pagare di più: +16,7% per la luce e +7,9% per il gas. Un dato che attesta la poca trasparenza delle offerte e la scarsa concorrenza nel settore energetico. Naturalmente è possibile risparmiare nel mercato libero, ma per farlo bisogna andare a cercarsi l’offerta migliore rispetto ai propri consumi, utilizzando il Trovaofferte del sito dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (www.autorita.energia.it) e facendosi spedire preventivamente le condizioni generali di contratto, visto che le garanzie previste nel mercato che non per niente si chiama tutelato, nel mercato libero non è detto che ci siano ancora (parliamo di diritto alla rateizzazione, interessi di mora, scadenza della bolletta ecc ecc). E’ quello che vi consigliamo di fare prima del 1° luglio 2019, visto che le famiglie che non faranno alcuna scelta finiranno inevitabilmente per pagare bollette più salate.
Vediamo ora in sintesi alcuni degli altri punti previsti nella legge sulla concorrenza:
1) Rc auto: si chiarisce definitivamente che le polizze non obbligatorie sui rischi accessori (ad es. incendio e furto), se stipulate contestualmente alla polizza dell’rc auto, non si rinnovano tacitamente ma si risolvono automaticamente alla loro scadenza, insieme alla polizza principale, ossia a quella della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. Era già così, anche se alcune (poche) compagnie assicurative facevano finta di niente per provare a vincolare il cliente a restare. Giudizio positivo, anche se non cambia molto. Per le altre polizze danni, invece, resta, ahimè, il tacito rinnovo.
Sconti. Sconti per chi installa la scatola nera e per i virtuosi che non causano incidenti da 4 anni e vivono nelle province a più alto tasso di sinistri. Il rischio è che gli sconti siano poi fatti pagare agli altri consumatori che abitano nelle zone con meno incidenti: una partita di giro, insomma. Quanto alla scatola nera, previsti sconti “significativi“, parola generica e priva di effetti concreti. L’UNC aveva chiesto uno sconto fissato per legge del 20 per cento, visto che la scatola nera favorisce in primo luogo le compagnie, che possono attribuire responsabilità nell’incidente al proprio assicurato, non risarcendo il danno. Positivo solo per gli automobilisti che rispettano il codice della strada alla lettera.
Risarcimenti. D’ora in poi ci sarà una tabella unica per tutto il territorio nazionale per risarcire i danni non patrimoniali da sinistri stradali: si userà la tabella del Tribunale di Milano. Vuol dire che i consumatori riceveranno di meno, anche se onestamente alcuni, prima, ricevevano un po’ troppo.
Testimoni. Per evitare i testimoni “di comodo” nei sinistri stradali con soli danni alle cose, la loro identificazione sul luogo dell’incidente deve risultare dalla denuncia o comunque dal primo atto formale del danneggiato. Sempre in ottica anti frode, se uno dei veicoli coinvolti nel sinistro è dotato di scatola nera, le risultanze del dispositivo formano piena prova nei procedimenti civili.
2) Poste: stop al monopolio di Poste sull’invio di multe e notifiche, previsto per settembre 2017. Giudizio sospeso. Positiva l’apertura del mercato, purché i consumatori siano garantiti sulla bontà del servizio.
3) Farmacie: le società di capitale potranno controllare le farmacie, ma dovranno rispettare un tetto del 20% su base regionale. I farmaci di Fascia C continuano a essere venduti solo in farmacia. Positivo l’ingresso di nuovi soggetti nel settore, ma decisamente negativo il tetto troppo elevato del 20%, che, in teoria, potrebbe consentire a livello locale di formare posizioni dominanti. L’UNC aveva chiesto di dimezzarlo al 10 per cento.
4) Alberghi. Gli albergatori potranno, anche online, praticare prezzi e condizioni migliori rispetto a quelli offerti sui siti comparatori. Sembra positivo, ma va considerato che i siti comparatori hanno consentito di confrontare più rapidamente e facilmente i prezzi e, conseguentemente, di risparmiare. Il presupposto, però, è che il prezzo riportato sia vero, sia quello realmente praticato, non un prezzo diverso da quello che si vede andando sul sito dell’albergo. Sfugge, poi, perché un albergatore dovrebbe avere convenienza a pubblicizzare su quei siti un prezzo più alto di quello effettivo. A chi giova? Semmai avrebbe più convenienza a fornire un prezzo più basso, per attirare più clienti grazie alla piattaforma, non più alto…
5) Avvocati. Il professionista dovrà comunicare al cliente il preventivo scritto. Già prima era scritto nella legge “Il professionista deve rendere noto” e “la misura del compenso è previamente resa nota al cliente”. Ora si aggiunge: “obbligatoriamente, in forma scritta o digitale”. Si spera che ora venga rispettato: vedremo…
6) Telefonia. In pratica non cambia nulla. Le “penali” telefoniche, infatti, restano. Ricordiamo che le penali erano state ufficialmente abolite dalla prima lenzuolata Bersani (legge n. 40/2007), che fece però l’errore di lasciare all’operatore la possibilità di far pagare spese giustificate da costi. Così le penali, formalmente eliminate, rientrarono dalla finestra sotto forma di spese. Ora l’unica cosa seria che andava fatta era di azzerare qualunque spesa per il recesso, anche anticipato, da contratto telefonico e questo anche in caso di offerte promozionali legate a sconti tariffari. Unica eccezione possibile, se viene offerto un bene in omaggio o scontato, come uno smartphone. In tal caso, a fronte di un recesso anticipato, è giustificabile che il consumatore versi una spesa commisurata al valore del bene.
Invece nulla di tutto questo è stato fatto. Nel testo di prevede solo che “le spese relative al recesso o al trasferimento dell’utenza ad altro operatore sono commisurate al valore del contratto stesso e ai costi reali sopportati dall’azienda, ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio“. Questi costi dovranno essere resi noti al consumatore sin al momento della pubblicizzazione dell’offerta e non solo alla sottoscrizione del contratto. L’operatore ha poi l’obbligo di comunicarli anche all’Autorità delle comunicazioni “esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica“. In pratica, un pannicello caldo!
I contratti stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive con offerte promozionali aventi ad oggetto la fornitura sia di servizi che di beni, non potranno durare più di 24 mesi (troppo!)
Infine, i passaggi da un operatore telefonico all’altro dovranno essere “semplici e di immediata attuazione” e la comunicazione del recesso si potrà fare anche con modalità telematiche.
In conclusione, un provvedimento nella gran parte dei casi dagli scarsi effetti pratici, che aumenta, ma poco, la trasparenza, ma che dal punto di vista delle tasche degli italiani avrà più effetti negativi che positivi.
Molti, poi, i capitoli che avrebbero potuto essere facilmente inseriti e di cui non c’è traccia nel testo approvato.
Autore: Mauro Antonelli
Data: 11 agosto 2017
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Concorrenza: approvata la legge annuale
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