La più importante industria culturale di questo Paese si chiama Rai – Radiotelevisione Italiana Spa. Tutti noi conosciamo bene gli effetti pervasivi della digitalizzazione sulle nostre esistenze e, di conseguenza, sul livello di informazione e consapevolezza della cittadinanza. Ma se leggiamo i dati (Digital Economy and Society Index – DESI) che collocano l’Italia come fanalino di coda nell’Unione Europea quanto a digitalizzazione, scopriamo perchè la televisione pubblica mantiene il suo ruolo destinato, forse, persino a rafforzarsi per via dell’imminente convergenza tra tv e internet.
Ecco perchè, dal punto di vista dei consumatori, la Rai rappresenta un luogo strategico per disegnare i reali livelli di tutela assicurati a tutti noi e alle generazioni future. Lo scopro ogniqualvolta sono chiamato a discutere di consapevolezza dei consumatori in Europa: la linea di demarcazione è netta tra quei paesi dove la televisione “pubblica” svolge un suo ruolo educativo (cito per tutti la Gran Bretagna o alcuni paesi scandinavi) e quelli dove invece la televisione ha abdicato a questa funzione.
Così nel nostro Paese, solo per fare qualche esempio tratto dalla cronaca recente, la poca “cultura” finanziaria è forse all’origine degli scandali bancari che hanno danneggiato migliaia di risparmiatori; la poca attenzione che dedichiamo a diffondere corretti stili di vita sta collaborando a farci scalare la triste classifica dell’obesità infantile; la bassa educazione digitale ci trascina agli ultimi posti per diffusione dell’ecommerce e via dicendo.
Sono solo alcuni rapidi esempi per raccontare in sintesi come la Rai potrebbe, se governata anche nell’interesse dell’utenza, imprimere una spinta di cambiamento del livello culturale assicurato ai concittadini (in Europa si parla di “empowerment”), facilitando in questo modo anche un volano di ripresa e di crescita, in questo caso “felice” perchè sviluppata nella piena consapevolezza dei propri diritti.
Ritengo che la Rai possa essere all’altezza di queste sfide e questa convinzione rappresenta la principale motivazione della mia candidatura per il Consiglio di Amministrazione dell’azienda che sarà rinnovato a breve. E’ la prima volta che prendo questa iniziativa, sollecitato dai colleghi dell’Unione Nazionale Consumatori, convinti del fatto che un rappresentante degli utenti-consumatori in seno al Cda Rai sarebbe una svolta epocale a favore di chi fruisce del servizio televisivo.
Del resto sono molte le battaglie che – come rappresentanti dei consumatori – abbiamo condotto in questo ambito: cito, solo per “titoli”, quella sulla pubblicità del gioco d’azzardo (vera piaga sociale e di salute pubblica) grazie alla quale è stata approvata una legge che riduce l’invadenza degli spot (e poi, anche in seguito alla nostra pressione, la Rai ha deciso di fare ancora di più, escludendo ognireclameanche negli orari consentiti).
Su un versante analogo, ci siamo battuti contro il business dei giochi televisivi, anche per stigmatizzare i messaggi talvolta poco edificanti veicolati da questi format: ricorderete che io stesso ho pubblicato un libro-inchiesta sul programma “Affari tuoi” e sul fenomeno dei game show (che mi è valso un paio d’anni di ostracismo dagli programmi Rai).
Ancora: molto note sono le nostre nostre battaglie per la trasparenza del televoto (grazie alla nostra iniziativa, Agcom ha regolamentato il fenomeno per ridurre gli abusi, anche se si potrebbe fare ancora molto). E concludo sul tema della corretta informazione televisiva: fake news e cattiva programmazione sui temi della salute (soprattutto alimentare) sono da sempre un nostro cavallo di battaglia.
Insomma abbiamo la convinzione che la Rai potrebbe fare di più: enon si tratta solo di sostenere quei programmi che già oggi attuano egregiamente un compito educativo (da “Mi manda Rai tre” a “Report“)o di potenziare quei format di edutainment (come”Complimenti per la connessione“) per la verità ancora troppo rari, ma di accettare la sfida di colmare quei gap informativi che ancora permangono, ad esempio, sul digitale, ecommerce, finanza, risparmi, telefonia, energia, etc.
Concludo sull’etica di impresa: penso seriamente a una Rai che si astenga dal promuovere con gli spot comportamenti scorretti e stili di vita tali da mettere a repentaglio la stessa salute. Spero in una Rai che, per qualche punto di share, smetta di inseguire messaggi trash o non tuteli a sufficienza i minori. Non è una sfida impossibile: si può partire dalle piccole cose, basterebbe tenere in maggiore considerazione i consumatori di televisione, osservando in modo rigoroso, ad esempio, i limiti delle fasce orarie e della programmazione annunciata, evitando quelle gare a chi finisce più tardi per vincere la gara dell’audience o i cambi improvvisi dei palinsesto rispetto a quanto annunciato sui giornali solo per adeguare l’offerta a quella della concorrenza.
La concorrenza con le altre emittenti si fa sulla qualità della programmazione, non solo rispettando -come detto- l’utenza, ma anche con scelte coraggiose sul mercato dei contenuti, ad esempio, non limitandosi a esternalizzare la realizzazione dei programmi, riducendo l’acquisto di format, non ricorrendo a “service” o figure professionali esterne, bensì valorizzando autori e maestranze dell’azienda. Sono battaglie che abbiamo sempre condotto, ma è evidente che poterle fare dall’interno ci consentirebbe di imprimere una svolta di cambiamento.
Autore: Massimiliano Dona
Data: 14 giugno 2018
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