Potremmo davvero chiamarle così, “mangia-dati”, certe App che si muovono tra le nostre informazioni come un moderno pac-man affamato di dati personali. Chi le scarica non se ne accorge, ma basta prestare distrattamente il consenso alla geolocolizzazione o accettare l’accesso ai propri contatti o alla galleria fotografica e il gioco è fatto: si finisce per cedere (inconsapevolmente) tutta una serie di dati sul proprio profilo e sui propri comportamenti che risultano particolarmente appetibili ad esempio per gli operatori pubblicitari con potenziali danni per la nostra privacy.
Alcuni studi (come quello eseguito dall’Istituto per la valutazione degli effetti delle tecnologie dell’Accademia Austriaca delle Scienze) dimostrano come tramite le coordinate GPS oppure i punti di accesso al WLAN possa essere tracciata la posizione del dispositivo mobile e con ciò gli spostamenti dell’utente (nel linguaggio tecnico si parla di tracking). E visto che smartphone e tablet ormai ci accompagnano ovunque, chi li traccia riesce a stilare un profilo ricco di informazioni sui singoli utenti in possesso di tali dispositivi.
E proprio le App, con il loro aspetto innocuo e giocoso, si prestano bene alla crescente smania degli operatori del settore di raccogliere dati personali: del resto il “traffico dei dati” prospera e il consumatore spesso non sa neanche di cosa si tratti perché il trattamento dei dati da parte di queste Applicazioni è poco trasparente sebbene giungano a realizzare un vero e proprio “pedinamento virtuale” delle nostre abitudini e delle scelte di consumo che facciamo ogni giorno.
Ora, senza voler qui demonizzare i “geodati” (pensiamo a quanto possono essere utili ai soccorritori per intervenire con tempestività), è un fatto che questa crescente digitalizzazione delle nostre esistenze serve anche a certi produttori di App per fare razzia di informazioni da vendere profumatamente. Se tutti i dispositivi “smart” possono essere facilmente associati ad una persona, sarebbe bene riflettere sulla facilità con la quale possono creare profili di comportamento utilissimi a chi fa pubblicità.
Un giochetto che coinvolge soprattutto le app gratuite nella generale inconsapevolezza degli utenti che non sanno dei trattamenti poco ortodossi cui sono sottoposti i propri dati. Da qui l’esigenza di una maggiore responsabilità a carico dei produttori dei dispositivi e i gestori di app. Ma sarebbe auspicabile anche una crescita culturale da parte dell’utenza, cominciando magari dal disattivare la geolocalizzazione (quando non necessaria), evitare di cliccare sui link pubblicitari e comunque ricordarsi di disinstallare le app che non si usano più.
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Autore: Massimiliano Dona
Data: 28 febbraio 2017
Occhio alle App “mangia-dati” che violano la nostra privacy
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