In discoteca è giusto che le donne paghino un prezzo diverso rispetto agli uomini per il biglietto di ingresso? Quante volte all’ingresso delle discoteche, su volantini o tramite pagine social, si leggono frasi del tipo “stasera le donne entrano gratis”? È un dubbio legittimo, anche perché ricordiamo che anche quando acquistiamo servizi per il tempo libero (biglietto per un concerto, il tour in un museo o una mostra, ma anche l’ingresso in discoteca) siamo consumatori.
In questo articolo ci soffermeremo proprio sulla prassi di applicare prezzi d’ingresso differenti tra uomini e donne nelle discoteche, essendo ormai diffusa su tutto il territorio nazionale.
È legittimo trovare in discoteca prezzi diversi per uomini e donne?
Un simile atteggiamento desta perplessità e porta con sé numerosi interrogativi: è una forma di discriminazione basata sulla differenza di genere o si tratta semplicemente di espedienti di marketing? E cosa si può fare in queste situazioni?
La risposta a tali interrogativi non è agevole. Eppure, il tema è dibattuto da lungo tempo, in tutto il mondo! Risale infatti al 1972, negli Stati Uniti, il primo caso di azione legale per “discriminazione sessuale all’accesso”, ma la controversia non riguardava una discoteca, bensì uno stadio per il baseball: una delle squadre più importanti, i New York Yankees, furono accusati di praticare “prezzi speciali” riservati alle tifose in un’operazione tesa principalmente a colmare il divario di presenze alle partite tra uomini e donne.
Solo molti anni dopo, la questione si spostò, in forma analoga, in un altro spazio di aggregazione: il dancefloor, cioè la discoteca. Si racconta che nel 2007, un certo Roy Den Hollander, un avvocato di New York, abbia pensato di far causa a diversi locali di Manhattan in quanto, secondo lui, violavano il XIV Emendamento, che dovrebbe garantire eguale protezione davanti alla legge. Questo perché i locali in questione offrivano un trattamento speciale alle ragazze, facendo pagare loro un prezzo inferiore per l’ingresso in quelle serate che, per l’appunto, erano chiamate “ladies’ nights“. Come potete immaginare, il nostro avvocato non solo ha perso la causa ma anche il suo ricorso alla Corte Suprema non ebbe alcun esito!
Il diverso caso della “selezione alla porta”
E’ bene chiarire che la questione non va confusa con il distinto fenomeno della cosiddetta “selezione alla porta”. Quest’ultimo termine, infatti, viene generalmente utilizzato per indicare la pratica attuata dalle discoteche di selezionare i clienti ai quali consentire l’accesso al locale. Trattandosi di una questione diversa (e particolarmente delicata) sarà però oggetto di un diverso articolo di approfondimento.
Fatta questa distinzione preliminare, facciamo un po’ di chiarezza in merito alla legittimità della prassi delle discoteche di adottare prezzi differenti tra uomini e donne.
Il marketing delle discoteche
Forse la questione dell’ingresso agevolato alle ragazze nelle discoteche pone più che altro problemi di natura etica. Se da un lato i consumatori di sesso maschile potrebbero sentirsi discriminati, (perché costretti a pagare di più), a pensarci bene, dall’altro lato, le stesse ragazze potrebbero sentirsi in qualche modo “offese” dal messaggio intrinseco: il vero motivo per cui una donna paga meno per entrare in un locale è che la presenza di un maggior numero di donne alla serata rappresenta un incentivo per la clientela maschile (almeno in una prospettiva eterosessuale).
Insomma, secondo il marketing delle discoteche, una percentuale elevata di ragazze all’interno potrebbe comportare un maggiore interesse a frequentare un certo locale. Del resto, secondo i dati Istat, nei luoghi in cui si balla l’affluenza maschile è maggiore rispetto a quella femminile, dunque i titolari promettono una numerosa partecipazione femminile per il pubblico maschile, traducendo la presenza delle ragazze in una vera e propria lusinga di marketing!
E se vogliamo vederla dal punto di vista dei consumi, questa differenza nei costi non è neppure un privilegio per il genere femminile ricordando il vecchio adagio: se un servizio è gratis, allora il prodotto sei tu!
È lecito fare discriminazioni sul prezzo per l’ingresso in discoteca?
Ora dobbiamo rispondere alla domanda se sia giusto che le donne paghino di meno l’ingresso in discoteca. E per farlo dobbiamo farci aiutare da riferimenti normativi: in termini generali, potremmo dire che la discriminazione economica basata sul sesso della clientela potrebbe porsi in disarmonia con alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento a cominciare dal principio di uguaglianza e di non discriminazione, tutelati dall’art. 3 della Costituzione.
Ma proviamo ad essere più concreti: sul tema, possiamo citare altre norme, a cominciare dal Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza: secondo alcuni, il divieto di accesso in un locale pubblico potrebbe porsi in contrasto con l’articolo n. 187 del T.U.L.P.S.: “Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691 del codice penale, gli esercenti non possono senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo“). Ma questo argomento sembra incidere maggiormente sulla pratica (diversa) della selezione all’ingresso.
Restando sul tema del prezzo del biglietto, infatti, quando un consumatore si reca all’ingresso di un locale, dal punto di vista legale, sta manifestando la volontà di concludere un contratto con il gestore. E allora dobbiamo chiederci se il prezzo possa essere stabilito arbitrariamente a seconda del tipo di cliente che si presenta alla cassa. Del resto qualcosa del genere già avviene in un cinema o in un parco dei divertimenti o su un mezzo di trasporto, dove tutti noi sappiamo che il prezzo del ticket può essere ridotto in forza dell’età (per i più piccoli, ma anche per le persone anziane) ma anche per determinate categorie di soggetti (pensionati, militari, personale sanitario e forse pure persone che siano dipendenti della stessa azienda fornitrice).
Su queste basi una discriminazione di condizioni per l’accesso sarebbe del tutto accettabile: ma la soluzione è la stessa se si “discrimina” in base al sesso? Certamente se ne discute molto, anche in ragione delle giuste istanze che animano una crescente coscienza sociale su tutte quelle situazioni in cui si prestabiliscono categorie binarie (come al seggio elettorale dove troviamo ancora -ingiustamente- il percorso diviso tra uomini e donne).
La discoteca è un servizio pubblico essenziale?
Secondo altri, invece, in fin dei conti la discoteca non offre un servizio che non possa definirsi “pubblico” ed “essenziale”, come lo sono invece i trasporti: su queste basi, quindi, essendo un luogo “privato”, seppur aperto al pubblico, il gestore potrebbe decidere quali strategie di prezzo attuare per garantirsi un contraente più congeniale al suo modello di business.
Sul punto strettamente giuridico va detto che dottrina e giurisprudenza dibattono ancora sulla natura dei servizi offerti dalla discoteca: certamente non parliamo di un servizio pubblico essenziale, ma sarebbe connotata di una certa veste “pubblica”, alla quale si aggiunge una disparità di posizione giuridico-economica rispetto al cliente-consumatore. E su queste basi, secondo alcuni, si configurerebbe una ridotta libertà contrattuale in capo alla discoteca: insomma il titolare (o chi ne fa le veci) non potrebbe perfezionare il contratto secondo modalità totalmente arbitrarie, ricordando anche che, secondo l’ordinamento italiano, l’iniziativa economica resta soggetta a limitazioni poste a salvaguardia dell’individuo.
Cosa si può fare se in discoteca il prezzo è diverso a seconda del sesso?
Alla luce di quanto detto fin qui, non resta che chiedersi cosa si può fare davanti ad una discoteca che discrimina economicamente in base al sesso della clientela? Pur trattandosi di una condotta che, almeno in linea teorica, non è propriamente rispettosa del principio di uguaglianza, dobbiamo concludere che secondo l’orientamento prevalente, questa resta nell’autonomia contrattuale del gestore.
Ma ricordiamo che anche le libere scelte imprenditoriali, come le policy per l’accesso in discoteca, restano soggette agli obblighi di trasparenza ai quali è tenuto il gestore di una discoteca; quindi, eventuali messaggi promozionali scorretti possono essere sempre segnalati alla Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento da ballo e di spettacolo e -nei casi più gravi- all’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato. In ogni caso, è bene ricordare che in caso di condotte scorrette verso la clientela, la soluzione più agevole resta quella di recensire in maniera negativa il locale, così da avvisare anche gli altri futuri clienti.
In tutte queste situazioni tuttavia è importante considerare che il prezzo del biglietto d’ingresso deve essere adeguatamente comunicato ai clienti: questi obblighi di trasparenza, impongono infatti al locale di esporre il prezzo praticato non solo in prossimità delle casse, ma di renderlo visibile fin dall’esterno del locale, così da permettere ai clienti di visionalo già prima di mettersi in fila per entrare.
E per attenuare le discriminazioni economiche tra ragazzi e ragazze, i consumatori hanno cominciato ad organizzarsi: spesso i ragazzi, se fanno parte di un gruppo composto da uomini e donne, si accordano per dividere equamente tra tutti i membri del gruppo la quota d’ingresso. Insomma, dove non arriva la legge, arriva l’arguzia del consumatore!
Autore: Ylenia Tellini