Cosa c’è negli abiti che indossiamo? Le etichette ci aiutano a capire. Partiamo dal tessuto: i nostri indumenti sono costituiti da tessuti derivanti da materie prime naturali o di sintesi chimica.
Sono tessuti naturali quelli di origine vegetale (canapa, lino, cotone, ecc.) oppure animale (cuoio, lana, pellicce, ecc.). Sono invece fibre chimiche quelle ricavate da vari “polimeri” (nylon, poliuretani, poliesteri, ecc.). Tutti i prodotti per essere trasformati in tessuti sono sottoposti a numerosi trattamenti chimici e fisici che conferiscono la consistenza ed il colore desiderato.
Ci sono poi delle guarnizioni e accessori (fibbie, bottoni, chiusure lampo, ecc.) costituite da metalli o plastiche.
Tutte le fibre possono essere sottoposte ad una serie di trattamenti chimico-fisici che conferiscono loro la consistenza ed il colore desiderato attraverso l’impiego di alcune sostanze. Nei vari processi di lavorazione, come anticipato, si utilizzano diverse sostanze chimiche, che possiamo suddividere in:
– sostanze ausiliarie, le quali ricoprono varie funzioni (es. migliore pulizia delle fibre naturali; maggiore resistenza dei tessuti ad acqua, macchie, pieghe, batteri e muffa);
– coloranti;
– sostanze per il “finissaggio”.
Attenzione a queste sostanze
Tra le diverse sostanze chimiche impiegate nei processi di lavorazione (tintura, la stampa, la filatura, la tessitura, la lavorazione a maglia ed altri tipi di trasformazione) ne esistono alcune pericolose. Per prevenire danni ai cittadini, il Regolamento (CE) n. 1907/2006 (Regolamento REACH) impone ai fornitori di tali sostanze, l’obbligo di fornire informazioni sulla possibilità che nei vari prodotti utilizzati e/o le materie prime (coloranti, ausiliari o altre) siano presenti sostanze “estremamente preoccupanti” (Substance of Very High Concern, SVHC). In tali eventualità, è necessario fornire informazioni dettagliate in merito alla loro concentrazione, ai possibili residui nei prodotti trasformati (se utilizzati secondo le raccomandazioni tecniche del fornitore) ed alle modalità da seguire per la loro utilizzazione nelle diverse fasi di lavorazione per prevenire danni agli addetti alla produzione.
Tra le sostanze chimiche “pericolose” maggiormente utilizzate troviamo formaldeide, metalli pesanti e ftalati: a questi ultimi viene dedicata particolare attenzione.
Gli ftalati si ottengono dal processo di esterificazione dell’acido ftalico con un alcool e sono utilizzati nel settore tessile/calzaturiero per conferire alle materie plastiche flessibilità, malleabilità ed elasticità; possono essere presenti come residui su magliette, scarpe di plastica o borse con parti in plastica morbida. Gli ftalati sono valutati e compresi fra gli “interferenti endocrini”, ovvero hanno la capacità di interferire nella funzionalità di alcune ghiandole endocrine alterandone la produzione ormonale. Tale attività “tossicologica” può provocare squilibri nella funzionalità di vari organi ed essere alla base di malattie metaboliche.
Etichette, un utile alleato
L’etichetta è un utile strumento per sapere cosa indossiamo. Nella scelta degli indumenti e/o degli accessori da acquistare occorre prestare molta attenzione alle etichette allegate ai capi, le quali normalmente attestano la conformità alle norme comunitarie garantendo l’assenza di pericoli. Le etichette devono quindi essere durevoli, visibili, facilmente leggibili e devono riportare la composizione fibrosa, ovvero i materiali con i quali è stato realizzato il capo e le sue modalità di impiego, incluso il lavaggio. Le etichette possono essere sostituite o completate da documenti commerciali d’accompagnamento in determinati casi, ma in nessun modo possono riportare abbreviazioni ad eccezione di codici meccanografici o qualora le abbreviazioni siano definite da norme internazionali, purché nel documento commerciale ne sia spiegato il significato.
Sui mercati “paralleli” possiamo trovare capi di abbigliamento che a prima vista appaiono perfettamente identici a quelli di marchi conosciuti ma che sono spesso prodotti in Paesi extracomunitari con materie prime di bassa qualità, tecniche poco sicure e, soprattutto, utilizzando sostanze chimiche non consentite. Tali indumenti presentano spesso difetti occulti, si scolorano facilmente e possono rilasciare sostanze chimiche sulla nostra cute con la possibilità di provocare danni non facilmente prevedibili, ecco perché un’etichettatura corretta e legale garantisce al consumatore la sicurezza del capo di abbigliamento.
Etichettatura del “pellame”
L’impiego di pelli animali come indumenti risale agli albori della civiltà umana ed è possibile soltanto a seguito di un processo di “conciatura” che prevede l’uso di sostanze chimiche in grado di “bloccare” la naturale degenerazione delle pelli per conferire loro le caratteristiche che ne consentono la trasformazione in capi di abbigliamento.
Nel nostro Paese le modalità di etichettatura sono state definite una prima volta con la Legge n.1112 del 1966 e revisionate con il Decreto Legislativo del 9 giugno 2020 n. 68 “Nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» e di quelli da essi derivati o loro sinonimi e la relativa disciplina sanzionatoria, ai sensi dell’articolo 7 della legge 3 maggio 2019, n. 37 – Legge europea 2018” (20G00084) (GU Serie Generale n.160 del 26-06-2020). Esso riporta in oggetto le “disposizioni relative alla definizione ed uso dei termini «cuoio», «pelle», «cuoio pieno fiore», «cuoio rivestito», «pelle rivestita», «pelliccia» e «rigenerato di fibre di cuoio» ed alla etichettatura e contrassegno dei materiali nonché dei manufatti con essi fabbricati, qualora gli stessi vengano indicati, con i medesimi termini, tramite qualsiasi modalità di presentazione e di comunicazione, anche in via elettronica, al fine di fornire una corretta informazione al consumatore”.
ll Decreto fornisce all’art. 2 le definizioni dei materiali di derivazione animale vietando pertanto, all’art.3, l’immissione sul mercato dei materiali o dei manufatti realizzati con materiali che non rispettano le corrispondenti definizioni. Inoltre, nel cinquantennio che separa le due leggi si è verificata una notevole evoluzione dei costumi e della moda spesso accompagnata e trainata dal progresso tecnologico, tant’è che nel D.Lgs. 68/2020 è stata introdotta la definizione «rigenerato di fibre di cuoio» che riguarda i prodotti costruiti con pelle o pellame conciati disintegrati meccanicamente e/o ridotti chimicamente e successivamente trasformati in fogli o in altre forme, diversi da quelli realizzati in «cuoio».
E’ importante sottolineare che le attuali disposizioni si applicano anche a materiali ed articoli di importazione nazionale, ed è quindi responsabilità degli importatori e dei distributori di materie prime ed articoli controllare che manifattura ed etichettatura dei prodotti siano conformi al D.Lgs. 68/2020. L’assenza di etichetta o la sua non conformità infatti, implica l’applicabilità di sanzioni fino a € 20.000 per fabbricanti o importatori e fino a € 3.500 per i distributori.
Ulteriori informazioni sono riportate nel Rapporto Istisan 20/10 “Chimica, moda e Salute”
Le attività del Centro Nazionale Sostanze chimiche, Prodotti Cosmetici e Protezione del consumatore dell’ISS riguardanti il settore Tessile sono consultabili all’indirizzo https://cnsc.iss.it/?cat=103
Articolo realizzato da Unione Nazionale Consumatori in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità e il Centro nazionale delle sostanze chimiche, prodotti cosmetici e protezione del consumatore (CNSC istituito da ISS).
Autori: Draisci Rosa, Lavalle Roberta, Famele Marco, Ferrari Marco, Guderzo Stefano, Deodati Simona, Spagnolo Domenico.