Ci siamo lasciati a luglio 2017 con la
moral suasion dell’
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che invitava gli
influencer ad
etichettare in maniera trasparente le proprie foto, inserendo l’avvertenza
#AD nei contenuti pubblicitari. A distanza di qualche mese, a dicembre 2017, l’
Antitrust si è dichiarata “soddisfatta” per l’esito degli interventi di moralizzazione e ha deciso di chiudere l’indagine sul fenomeno dei
selfie sponsorizzati.
Eppure le cose non sembrano migliorate: non solo molti
influencer continuano a pubblicizzare prodotti senza alcuna avvertenza circa il contenuto “commerciale”, ma si moltiplicano i
micro-influencer (personaggi meno noti al grande pubblico ma con un importante seguito sul
web) che pubblicano
post pubblicitari non etichettandoli in modo trasparente. Qualcuno poi ha cominciato ad inserire l’
hashtag #AD, ma lo fa ancora in modo improprio, ad esempio troppo in là nel testo di accompagnamento così da non essere facilmente visibile. Per questo motivo, dopo la chiusura del procedimento dell’AGCM, l’
UNC continua a tenere sotto controllo il fenomeno nella convinzione che la strada per una maggiore trasparenza nei
selfie pubblicitari è ancora lunga.
Ma intanto cerchiamo di capire meglio un fenomeno che ha generato nel 2016 un giro d’affari di circa
30 miliardi di dollari, con proiezioni che annunciano una crescita fino a
50 miliardi entro il 2019, attraverso la testimonianza di Nicol, giovane
influencer che ci svela alcuni retroscena di Instagram e non solo.
Guarda la galleria fotografica con alcuni influencer
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L’INFLUENCER DELLA PORTA ACCANTO, O FORSE NO
“
Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione industriale” ci spiega Nicol che nel 2014 ha aperto il suo primo canale Youtube in tema
lifestyle, fashion e beauty (nicol Rossi e 10 e Lode). “
Tutto cominciò con i video home-made, ma poi anche in Italia abbiamo seguito il modello americano: personaggi ben strutturati, semplici all’apparenza, ma ben organizzati nella loro programmazione e spesso con un team alle spalle da far invidia ad una casa di produzione cinematografica. Si pensa sempre alle star del web come potenziali amici o ragazzi della porta accanto, peccando di ingenuità. Ci sono aziende che oggi fatturano milioni di euro il cui business è unicamente gestire questi personaggi”.
Di artigianale e spontaneo quindi è rimasto ben poco! Le chiediamo di spiegarci come funziona il contatto con l’
azienda che vuole pubblicizzare un prodotto. “
Molte aziende sono serie -risponde Nicol-
hanno appositi uffici marketing o agenzie di comunicazione dalle quali ho imparato moltissimo negli anni. Altre, purtroppo, tentano di sfruttare i personaggi del web per tentare di vendere in modo discutibile ciò che hanno da mettere sul mercato”.
E veniamo al nocciolo della questione: perché non dichiarare semplicemente che si
pubblicizza un prodotto? “
Provate ad immaginare di guardare un video (di ogni genere, musicale, un film, ecc) che contiene al suo interno un prodotto sponsorizzato, essendo consapevoli che è sponsorizzato, in quanto accompagnato dal messaggio ‘pubblicità’. Ora provate ad immaginare di fare lo stesso, non sapendo però che lo stesso prodotto è sponsorizzato, o meglio, pensate di guardare quello stesso video, credendo che il vostro cantante, attore, personaggio preferito indossi quella maglietta, quegli occhiali, quelle scarpe perché le ama. Usa questi prodotti in più contesti, magari vi dice anche che quelle scarpe sono veramente comode e sono diventate le sue scarpe preferite. Le aziende e gli influencers sono consapevoli del fatto che c’è una gran differenza d’impatto sul consumatore tra il pubblicizzare un prodotto in modo asettico e farlo creando invece un feeling con il pubblico”.
Quindi il
consumatore è impotente di fronte a questa poca trasparenza?
“Prendiamo il caso di Instagram famosa piattaforma social dove solitamente l’azienda che vuole investire in questo tipo di sponsorizzazione raggiunge e contatta un gran numero di influencers. Questi dovranno pubblicare una foto con il prodotto da sponsorizzare, ma essendo l’azienda stessa a dettare lo stile della campagna, le foto avranno tutte lo stesso stile. Non solo, in queste foto possiamo notare quasi sempre una descrizione molto lunga, spesso con episodi di vita quotidiana. Serve a dare l’idea di un personaggio semplice, di cui ci si può fidare, ma leggiamo anche una descrizione chiara e precisa dei pregi del prodotto pubblicizzato. Ed ancora, i tag, sono spesso inusuali e fanno riferimento al prodotto. Questo permette all’azienda di verificare l’andamento della campagna di marketing seguendo quei precisi tag. Ma anche il consumatore può utilizzare questi indizi per capire che di spontaneo c’è davvero poco!”
REGOLE E TRASPARENZA, È UNA SFIDA POSSIBILE?
Insomma, la nostra
influencer conosce molto bene il mondo dei
social e fornisce utili consigli: è senz’altro utile qualche accorgimento di autodifesa, ma noi vorremmo che il
consumatore avesse delle regole certe a cui affidarsi e che il
diritto alla trasparenza possa estendersi anche sui più nuovi canali di comunicazione.
Gli stessi
big player del settore hanno ben compreso l’importanza di una regolamentazione per garantire la loro stessa professionalità; d’altra parte ormai per “influenzare” il popolo della Rete bastano poche migliaia di
followers, il che rende se vogliamo più democratico il fenomeno, ma è ancora più difficile (e necessario) il controllo.
Arrivare ad una
pubblicità che sia anche didattica come ai tempi di
Carosello forse oggi è utopistico, ma probabilmente nel passato anche la
credibilità del
testimonial ha reso alcuni
spot indimenticabili. Ancor di più oggi, la credibilità ha bisogno di regole e trasparenza!
Per saperne di più leggi La pubblicità degli influencer: interviene l’Autorità ma non basta
Autore: Simona Volpe
Data: 26 marzo 2018