L’Istat ha reso noto il nuovo paniere che sarà utilizzato come riferimento per la rilevazione dei prezzi al consumo nel corso del 2015. Al di là delle solite note di colore, ossia le nuove entrate (biscotti senza glutine, la pasta senza glutine, la birra analcolica, car sharing, bike sharing, le bevande al distributore automatico, il caffè al ginseng al bar e l’assistenza fiscale per calcolo delle imposte sull’abitazione) e le uscite (Navigatore satellitare, Impianto HiFi, Registratore DVD e Corso di informatica), poco rilevanti, considerato che il paniere si compone di 1.441 prodotti, quello che conta, ai fini del calcolo degli indici dei prezzi al consumi, sono i nuovi pesi che vengono assegnati ad ogni bene e servizio.
Con riferimento all’indice NIC, ossia a quello per l’intera collettività nazionale, che misura l’inflazione a livello dell’intero sistema economico e rappresenta per il Governo il parametro di riferimento per le politiche economiche, rispetto al 2014, considerando le divisioni di spesa, aumenta il peso sui consumi di Servizi sanitari e spese per la salute (dal 7,6988% del totale dei consumi nel 2014 all’ 8,4390 % nel 2015), Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (dal 10,8816% del 2014 all’11,5963% nel 2015), Comunicazioni (da 2,2992 a 2,5408) e, in misura più contenuta, di Prodotti alimentari e bevande analcoliche (da 16,3728 a 16,5266), Bevande Alcoliche e tabacchi (da 3,1690 a 3,2606), Istruzione (da 1,1481 a 1,2085) e Altri beni e servizi (da 8,9490 a 8,9899).
Per contro, i cali di peso più rilevanti in termini assoluti riguardano le divisioni Abbigliamento e calzature (da 7,9726 a 7,0229), Trasporti (da 14,1669 a 13,8039), Mobili, articoli e servizi per la casa (da 7,9214 a 7,6036), Servizi ricettivi e di ristorazione (da 11,4030 a 11,1555) e Ricreazione, spettacoli e cultura (da 8,0176 a 7,8524).
Per l’UNC, però, non tutto quadra. Ci sono, ad esempio, alcuni cali incomprensibili, come quelli della fornitura acqua (dallo 0,3926% allo 0,3863%), della Raccolta rifiuti (da 1,0444 a 0,9041) o delle Spese bancarie e finanziarie (da 1,3111 a 1,2293). Ma il punto vero è che ogni prodotto dovrebbe avere un peso pari all’importanza che assume sulla spesa complessiva per consumi delle famiglie. L’UNC, però, ha confrontato questi pesi con le spese reali sostenute dalle famiglie che sono contenute nell’indagine sui consumi pubblicate nell’Annuario statistico italiano.
Ebbene, pur essendo due dati sempre dell’Istat, non corrispondono. Per il calcolo dell’inflazione l’Istat sopravvaluta il peso dei Servizi ricettivi e di ristorazione (nel paniere pesa l’11,1555%, mentre nella realtà, ossia nell’indagine sui consumi, conta solo il 5,6%, la metà) o dell’Abbigliamento e calzature (che per l’Istat pesa il 7,0229% ma in verità una famiglia spende solo il 4,6% dei suo consumi per questo capitolo) e sottovaluta il peso della voce Abitazione, che comprende l’affitto di casa, le spese condominiali e quanto paghiamo per luce, gas, acqua, rifiuti.
Per l’Istat una famiglia media paga per l’Abitazione l’11,5963% del totale delle proprie spese, mentre nella realtà ci costa il 35,2% di quello che spendiamo in un anno. Una bella differenza, che ovviamente incide sul calcolo finale dell’inflazione, falsandolo al ribasso, dato che le voci contenute nel capitolo Abitazione sono, guarda caso, quelle aumentate di più in questi anni.
Per l’UNC, insomma, i pesi sono vecchi, perché l’Istat non ha tenuto conto della grave crisi in atto e del conseguente crollo delle spese non obbligate.
Autore: Mauro Antonelli
Data: 12 febbraio 2015
ISTAT: nuovo paniere, pesi vecchi
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