Mozzarella : le diverse varietà
Molti consumatori pensano che la mozzarella sia magra e quindi adatta alla dieta per “stare in forma” al mare, bisognerebbe chiarire, invece che una mozzarella di vacca ha il 19,5% di grassi (sei volte più di una fettina di bovino) e una mozzarella di bufala arriva al 25%. Comunque, i formaggi bisogna mangiarli per l’apporto di calcio, ma tra le mozzarelle c’è l’imbarazzo della scelta, in quanto pochi prodotti alimentari hanno avuto una storia normativa dell’etichettatura più tormentata di quella della mozzarella.
Tantissimi anni fa esisteva soltanto quella di bufala e quando, dopo l’ultima guerra, uscì quella di vacca con la stessa denominazione, i produttori meridionali ingaggiarono una lunga battaglia con quelli settentrionali per impedire che fosse chiamata “mozzarella” anche quella di vacca. La battaglia fu persa, ma si riaccese furibonda quando la mozzarella di bufala campana ottenne il riconoscimento DOC, che in base alla legge non permetteva imitazioni del nome. Dovette intervenire la CE che, assegnando la qualifica europea DOP (denominazione d’origine protetta) alla mozzarella di bufala campana, stabilì che il solo termine “mozzarella” non era protetto.
Fin qui è ancora tutto semplice, perché la mozzarella di bufala campana si riconosce, oltre che dalla denominazione, dal simbolo in etichetta della sola testa di bufala entro un cerchio. Però le bufale non stanno solo in Campania, ma anche in altre parti d’Italia e sorse il problema di come dovessero essere etichettate le mozzarelle non campane. Un decreto del 1997 stabilì che la denominazione poteva essere soltanto “formaggio fresco a pasta filata prodotto con latte bufalino”, e non “mozzarella di bufala”, consentendo però la riproduzione in etichetta dell’intero animale bufala (non della sola testa).
Se si trattava di prodotto misto con latte di vacca e di bufala, era permesso il solo termine “mozzarella” con la raffigurazione dell’intero animale bufala. Di nuovo scoppiò una battaglia, con ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato e alla Commissione europea e, dopo varie vicissitudini, nel 1998 uscì un nuovo decreto ministeriale che abrogava quello del 1997, stabilendo che in quella di bufala non campana la denominazione “mozzarella” deve essere seguita da un marchio o da un nome di fantasia e poi dal termine “di latte di bufala” (per esempio, “Mozzarella Carolina di latte di bufala”). Il decreto non prevede più la possibilità di raffigurare in etichetta l’intero animale di bufala.
Frattanto, quella di vacca può continuare a chiamarsi mozzarella senza fare confusione con quella di bufala, ma ce n’è anche un’altra versione, fatta rigorosamente secondo i metodi tradizionali, che ha ottenuto l’attestazione europea di specificità. Si riconosce da un marchio della CE costituito da un sole stilizzato con interno blu e corona gialla, nel quale gira la menzione “Specialità tradizionale garantita”. Secondo il disciplinare di produzione, deve avere una pasta a foglie sovrapposte, rilasciare al taglio liquido lattiginoso, con occhiature assenti e odore di latte lievemente acidulo.