Pasta: cruda, pressata, semidura,
Stagionatura: 30 giorni
Carta d’identità La Comunità Montana delle Valli monregalesi, comprende nel suo territorio uno dei più vasti complessi pascolivi della Provincia di Cuneo. In questo tratto delle Alpi Marittime, ormai prossimo al termine della catena, le cime raggiungono quote modeste ed i rilievi hanno una morfologia più dolce: i pascoli d’alpeggio arrivano così alle maggiori altezze. Queste superfici sono ancora intensamente utilizzate nel periodo estivo dalle mandrie di bovini, mentre gli ovini pascolano le aree più povere ed elevate. Da sempre, su queste Alpi del Monregalese, viene prodotto un formaggio particolare che ha il nome di un lago e di un pascolo sito alle falde del Monte Mongioie (m.2.630): il formaggio Raschera. L’ “Alpe Raschera”, della superficie di circa 620 ha, nella così detta “isola amministrativa” del Comune di Magliano Alpi (che deve il suo appellativo ” Alpi ” propio al possesso di questo territorio, pur essendo un Comune di pianura). Avvenne infatti che, in virtù della separazione e divisione delle terre appartenenti al mandamento di Mondovì avvenuta nel 1698, per i diritti feudali, Magliano si vide assegnare legittimamente le ” Alpi ” Brignola, Seirasso eRaschera situate a lato del gruppo del Marguareis, della superficie complessiva di 1.350 ettari su quote superiori ai 1.800 m. s.l.m. tra il Mondolè ed il Mongioie a mezzogiorno delle due Frabose e confinanti con i territori di Roccaforte M.vì ed Ormea). La tradizione casearia artigianale locale, ha imposto al formaggio Raschera la forma rotonda e/o quadrata. Quest’ultima, si è affermata negli anni, per la maggiore praticità di trasporto che ha assunto, quando il formaggio doveva essere trasportato a valle dalle “selle” (locali tipici ricavati direttamente nella terra, aventi funzioni di celle di stagionatura naturali in cui l’umidità e la temperatura costanti nel tempo, determinano un ambiente altamente adatto alla stagionatura del formaggio che assume sullo scalzo e su tutta la crosta delle superfici piane, una tipica colorazione rossiccia dovuta allo sviluppo di muffe di quel colore), usando, come unico mezzo di trasporto, il mulo (le forme “quadrate”, assumevano così una maggiore stabilità ed una possibilità in più per migliorare l’accatastamento delle forme sul dorso del quadrupede). La tradizione di fabbricare questo tipico formaggio di montagna in tutto il monregalese, fece sì che ancora ai giorni nostri, soprattutto negli ambienti rurali, per individuare un formaggio che viene dalle montagne che circondano Mondovì, si dice “una raschera” mentre per indicare un formaggio sempre di montagna, ma di un’altra vallata, si dice “toma di montagna”. Storicamente si hanno i primi accenni dell’esistenza di questo formaggio in un contratto d’affitto della fine del 1.400 rinvenuto nell’archivio comunale di Pamparato, in cui il signorotto locale pretendeva dai pastori che “menano le loro mucche a pascolar l’erba del prato Raschera ” per il pagamento dell’affitto, alcune forme di “quel buon formaggio che lassù su fà”. All’inizio degli anni ’70, per problemi di mercato e conseguentemente al depauperamento delle forze di lavoro giovanile che le zone di montagna subivano grazie alla politica filo-industriale allora imperante in Italia, si rischiava di perdere irrimediabilmente questo gioiello di produzione casearia-artigianale. Una coraggiosa iniziativa di alcuni personaggi di Fabrosa Soprana (cuore della produzione estiva di Raschera), da sempre innamorati della tradizione locale e dei prodotti genuini e legati alla cultura contadina della montagna, permise che quanto detto prima non avvenisse. Non solo, ma si verificò, a livello della produzione, una inversione di tendenza con un netto aumento sul mercato, di Raschera d’Alpeggio. Essi costituirono la “Confraternita del Raschera e del Brus” (altro tipico prodotto caseario locale), i cui “Cavalieri “avevano ed hanno il compito di “propagandare, far conoscere e sostenere” la produzione, il consumo, la conoscenza e la vendita “della Raschera” (seguendo la tradizione montanara, localmente, si usa anche in italiano il femminile per indicare questo formaggio). Fu questo il primo atto di un grosso movimento politico e tecnico atto a non far dimenticare questo formaggio. Agli inizzi degli anni ’80 infatti, la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Cuneo e la Comunità Montana delle Valli Monregalesi, presentarono lo studio e tutte le pratiche necessarie all’allora Ministero dell’Agricoltura e Foreste atte al riconoscimento della D.O. (Denominazione d’Origine) del formaggio Raschera. Il Raschera è un formaggio con almeno un mese di stagionatura.E’ di pasta cruda, pressata, semidura. Il suo sapore è fine e delcato, profumato, moderatamente piccante e sapido se stagionato. La pasta è piuttosto consistente, elastica, con piccolissime occhiature sparse e irregolari. Il colore è bianco o bianco avorio. Il Raschera è un’ottimo formaggio da taglio prodotto e stagionato senza conservanti. Il 16 Dicembre 1982 il Presidente della Repubblica emanava un suo Decreto, che verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 195 del 18 Luglio 1983, che sancisce la “Denominazione d’Origine” al formaggio Raschera. In esso vengono distinti due tipi di Raschera a D.O. e precisamente: “Raschera d’Alpeggio” quando viene prodotto e stagionato al di sopra dei 900 m s.l.m. nei territori dei Comuni di: Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Garessio per quanto attiene la Val Casotto, Magliano Alpi per la parte che confina con il Comune di Ormea, Montaldo Mondovì, Ormea, Pamparato, Roburent, e Roccaforte Mondovì; “Raschera” che si può produrre su tutto il territorio della Provincia di Cuneo. Il motivo di questa doppia possibilità ha anch’esso un origine storica : da sempre i malgari (allevatori di bovini ed ovini transumanti), portano i loro armenti a pascolare nel periodo estivo sugli alti pascoli alpini (detti “malghe” e di qui “malgari”) delle montagne monregalesi (Alpi Marittime) che, per la loro caratteristica geografica di essere a cavallo tra il Mar Ligure e la Pianura Padana, usufruiscono di un clima piuttosto piovoso. Questo motivo, aumentato dal fatto che la vicinanza del mare addolcisce abbastanza il clima, determina una considerevole ricchezza vegetale che dà, a questi pascoli, uno spiccato interesse botanico per le varie specie erbacee presenti. La ricchezza e la varietà di queste erbe, fa sì che anche le caratteristiche del latte munto da animali pascolanti, assuma sapori e profumi tipici e caratteristici solo di questo areale. Conseguentemente, il formaggio prodotto da siffatta materia prima assume sapori e profumi inconfondibili ed irripetibili in altre zone. Essendo caratteristica propria del formaggio a D.O. “Raschera” la possibilità di essere fabbricato sia nella forma “rotonda”, ovvero cilindrica, di peso pari a circa 7-9 kg, con uno scalzo di 7-9 cm. ed un diametro di 35-40 cm. e/o nella forma “quadrata”, ovvero parallelepipeda, di peso pari a circa 8-10 kg, con uno scalzo di 12-15 cm. ed un lato di 40 cm., è ovvio che anche la lavorazione subirà, dopo un inizio perfettamente uguale, una diversificazione per ottenere il prodotto nella forma desiderata finale. Pertanto, la prima parte della lavorazione si comporrà dei seguenti momenti: al latte di vacca (a cui a volte si aggiunge latte caprino od ovino per rendere il gusto del formaggio derivato più piccante), proveniente da due mungiture (quella della sera più quella del mattino), si addiziona nella quantità ritenuta ottimale, caglio liquido, dopo aver riscaldato la massa fino ad una temperatura di 27-30 gradi centigradi. Durante il riscaldamento, si deve aver cura di rimescolare continuamente il latte e di tenerlo sempre in agitazione affinchè il calore sia meglio distribuito all’interno della massa stessa. Raggiunta la temperatura ottimale e addizionato il caglio liquido, il prodotto viene lasciato a riposo per circa 20 minuti, mezz’ora, tenendo il recipiente che lo contiene coperto con una tela di stoffa o di lana atta ad impedire ogni dispersione di calore. Si ottiene così la cagliata che viene successivamente rotta con la spatola (detta “spanuira”); indi, per almeno cinque minuti si procede alla sbattitura con uno spino di legno di foggia caratteristica detto “sbattarella” (derivata dalla manipolazione della punta di un abete) ed infine si provvede alla raccolta della cagliata separata dal siero (detto “prod”) con lenti movimenti rotatori. Questa cagliata, così separata dal siero, viene raccolta in una tela di canapa detta “curuira” da cui può scolare; dopo una decina di minuti, il tutto sempre avvolto nella tela, viene messo in forme di legno cilindriche con un diametro di 35-40 cm. (le così dette “fascele”) munite di fori sul bordo atti al passaggio dell’eventuale siero ancora presente e quindi caricate con pesi per favorirne lo spurgo. Dopo una decina di minuti, si aprono le “fascele” e si impasta la cagliata con le mani sminuzzandola finemente; dopo di ché, raccolto nuovamente il prodotto nella “curuira” e successivamente nella “fascela”, si rimette sotto peso dove vi rimarrà per almeno 12 ore. Di qui lo si toglie come prodotto finito, pronto per la salatura e la stagionatura. La salatura, di norma, si effettua prima sulla faccia superiore della forma appena tolta dal torchio con sale grosso e per circa 24 ore; successivamente, rivoltata la forma, per un giorno o due, sull’altra faccia e sugli scalzi sempre a secco e con sale grosso. Finita la salatura, si avvia la forma rotonda alla stagionatura che si compirà in locali adatti che possono essere, a seconda del luogo dove si opera, di due tipi fondamentali diversi:
- Nel caso ci si trovi in alpeggio, il luogo di stagionatura che si chiama “sella”, è costituito da un locale ricavato nella terra, il cui tetto è nient’altro che un voltino a sua volta ricoperto di terra che, proprio per queste sue caratteristiche, permette una temperatura costante pari alla media di quella annua (come succede nelle grotte naturali) e, cosa molto importante, determina una umidità costante ed ottimale per la maturazione completa del formaggio e per lo sviluppo di caratteristiche muffe rosse sulla crosta dello stesso.
- Nel caso ci si trovi nell’azienda di fondo valle o pianura, il luogo di stagionatura è null’altro che una cantina riproducente, il più fedelmente possibile, le caratteristiche di temperatura ed umidità prima accennate per le “selle”.