Crisi delle uova e aviaria negli USA, perché in Italia non corriamo rischi 

Agostino Macrì
15 Aprile 2025
Condividi su

Dal 2022 un ceppo altamente patogeno del virus dell’influenza aviaria ha colpito duramente gli allevamenti avicoli americani, portando alla crisi delle uova di cui stiamo sentendo parlare nelle ultime settimane. 

Cosa succede negli Stati Uniti 

Per arrestare la diffusione della malattia è stato necessario adottare severe misure di prevenzione basate sullo stamping out, cioè l’abbattimento e la distruzione di tutti gli animali infetti o potenzialmente esposti alla malattia. Applicando questa misura, sono stati eliminati 170 milioni di volatili.  

Purtroppo, però, non ci sono stati i benefici sperati: non solo la malattia ha continuato a dilagare tra i volatili, ma c’è stato un salto di specie nei bovini, con la diffusione della malattia tra un migliaio di capi.

Tra gli addetti agli allevamenti zootecnici sono stati registrati una settantina di casi umani

La crisi delle uova 

La forte riduzione delle galline ha ovviamente comportato una carenza di uova. I prezzi sono aumentati enormemente, suscitando la preoccupazione dei consumatori americani, che utilizzano l’uovo come elemento fondamentale della loro alimentazione. 

Si sono verificati anche episodi quasi incredibili, come il furto di 100.000 uova in un supermercato.  

Nell’ultima campagna elettorale e al Congresso del febbraio scorso, il presidente americano Donald Trump ha promesso di ripristinare la vendita di uova a prezzi bassi.

Per raggiungere l’obiettivo dice di voler cambiare le strategie contro l’influenza aviaria e, come misura immediata, che comprerà le uova in tutto il mondo. 

La nuova strategia americana contro l’aviaria 

Gli Stati Uniti hanno stanziato 1 miliardo di dollari per la biosicurezza negli allevamenti (500 milioni), il sostegno agli allevatori (400 milioni) e la ricerca di nuovi vaccini (100 milioni).  

Sembrerebbe che si voglia abbandonare la strada dello stamping out ed avviare una politica di prevenzione. Questa vorrebbe il miglioramento delle condizioni igieniche degli allevamenti, il ricorso a vaccini ed eventualmente a sostanze chimiche da impiegare come disinfettanti o farmaci. 

L’idea americana che non piace agli esperti  

Questa strategia non sembra raccogliere l’unanimità dei consensi tra gli esperti di sanità pubblica, perché rischia di perpetuare la diffusione della malattia.  

I vaccini antinfluenzali aviari, infatti, esistono già ma la loro efficacia non sembra essere ampia. Finora, perciò, si è preferito non utilizzarli in campo per il rischio peggiorare la situazione.  

Esistono poi le perplessità di alcuni allevatori, che temono una chiusura dei mercati ai prodotti avicoli ottenuti da animali vaccinati

Gli allevatori temono anche il pericolo della contaminazione dei galli da riproduzione e delle galline da cova, per la possibile trasmissione del virus influenzale ai pulcini utilizzati per la “rimonta”, la sostituzione delle galline vecchie con giovani pollastre. 

È un pericolo concreto, anche perché le galline da cova hanno un valore economico più elevato rispetto alle comuni galline da allevamento e sono più difficilmente sostituibili.  

Il cambio di rotta della politica sanitaria con il passaggio alla vaccinazione o addirittura ad interventi terapeutici potrebbe avere conseguenze disastrose, con una cronicizzazione dell’epizoozia in atto.  

Altra preoccupazione, che comunque riguarderebbe soltanto gli USA, è la carenza di uova per i consumatori e la richiesta che viene fatta ai mercati internazionali. 

A differenza di quanto avvenne in Italia (il sospetto che le galline fossero state colpite dal virus influenzale comportò una fortissima contrazione del consumo di uova per timore di infettarsi), gli americani vogliono continuare a mangiare le uova, senza troppo badare all’origine.

Ciò significa anche importare uova da Paesi con allevamenti dove la possibilità di avere uova contaminate da batteri patogeni (salmonelle o residui di farmaci veterinari )non sono remote. 

In Italia corriamo qualche rischio? 

L’attuazione di soluzioni pragmatiche(ridurre o eliminare la profilassi dello stamping out e sostituirla con la vaccinazioni o addirittura terapie) potrebbe comportare rischi molto elevati.

Inoltre, l’importazione indiscriminata di uova da Paesi con scarso controllo sanitario veterinario potrebbe originare pericoli per i consumatori. 

Il problema non riguarda il nostro Paese, dove gli allevamenti avicoli sono costantemente controllati e si sono sempre privilegiati gli interessi sanitari a quelli economici.  

Come accennato, quando si sono avuti dei focolai di influenza aviaria negli allevamenti si è intervenuti rapidamente eradicando la malattia in tempi brevissimi. 

Possiamo quindi concludere che la crisi delle uova negli Stati Uniti non riguarda il nostro Paese. 

Estratto dall’articolo di A. Macrì: ”Influenza aviaria negli USA: quando la politica di sostituisce alla scienza”. Sett. Vet. N° 1367 del 9.4.2025 

Condividi su: