Riduzione dei gas serra, produzione di cibo cruelty free senza rinunciare alle proteine animali sono tra le motivazioni dietro l’ultimo ritrovato delle mode alimentari: la carne sintetica, prodotto che – secondo alcune previsioni – potrebbe arrivare sulle nostre tavole a partire dal 2020. Sono infatti molti i laboratori che da diversi anni nel mondo stanno lavorando su questo progetto, presentato ufficialmente in pubblico nel 2013 con l’assaggio del primo hamburger prodotto in laboratorio. Presentazione avvenuta peraltro con un certo successo, dato che chi lo ha assaggiato dichiarò che aveva un gusto intenso (anche se non molto succoso per l’assenza di lipidi) e paragonabile a quello della carne.
Il termine carne sintetica, che a un pubblico generico potrebbe far pensare a laboratori degni del dottor Frankenstein, rimanda in realtà a un procedimento relativamente semplice e che non fa altro che applicare la tecnica delle tessutocolture, da tempo molto impiegata nella ricerca scientifica, come ad esempio per studiare la patogenicità dei virus e gli effetti tossici in vitro di sostanze chimiche, o nell’ingegneria genetica. Vi sono anche altre applicazioni pratiche, tra cui una delle più importanti è la produzione di alcuni vaccini.
In pratica si tratta di prendere delle cellule staminali muscolari (di pollo, anatra, maiale, ecc.) e di porle in un adeguato contenitore (bioreattore) assieme a un substrato liquido di coltura, che generalmente è siero di sangue fetale, o a una soluzione sintetica di sostanze chimiche per ottenere una composizione simile al siero. In tali condizioni le cellule sono nutrite, così che possono crescere e moltiplicarsi fino a formare uno strato di fibre.
Questo processo richiede un certo tempo, per cui, perché abbia un interesse commerciale, non si può escludere che sia necessario aggiungere delle sostanze anabolizzanti in grado di accelerare i tempi.
Inoltre, la composizione nutrizionale dei tessuti così formati può variare molto in funzione del terreno di crescita utilizzato pertanto non è detto sia uguale a quella della carne che noi conosciamo; quel che non dovrebbe invece variare sono le proteine, ma altri componenti (vitamine, sali minerali, grassi, colesterolo) potrebbero anche essere assenti.
Dal momento che parliamo di un prodotto che ha la finalità di essere mangiato, un aspetto molto importante è quello organolettico.
Il sapore della carne “tradizionale” dipende da un insieme di fattori che vanno dal sistema di allevamento degli animali alla loro alimentazione, dal movimento che fanno al metodo di macellazione, dalla frollatura della carne a come è conservata prima di essere consumata.
La carne sintetica invece è un concentrato proteico con caratteristiche organolettiche uniformi, senz’altro molto diverse da quelle della carne che consumiamo; sarà quindi necessario “lavorarla” per conferirle una struttura simile quanto meno al macinato con cui fare delle polpette; più complesso (anche se non tecnicamente impossibile) sarà trasformarla in qualcosa di simile alle bistecche, dato che per strutturare dei tessuti è necessario un sistema circolatorio che apporti i nutrienti in profondità.
Per ottenere un sapore piacevole, inoltre, è ipotizzabile che si renda necessaria l’aggiunta di additivi aromatizzanti.
In pratica quindi la carne sintetica è un concentrato proteico da lavorare per renderlo appetibile, i cui costi di produzione oggi non lo rendono proponibile come prodotto di largo consumo.
Inoltre, trattandosi di un nuovo alimento, è anche probabile che sia necessario definire delle norme per la sua produzione e trasformazione; si tratta di un aspetto non trascurabile quando si passerà dalla fase sperimentale a quella industriale.
Gli studi in corso serviranno anche a definire le norme legislative come, ad esempio, le caratteristiche dei substrati, gli additivi chimici, le norme di sicurezza degli impianti.
Vista l’entità degli investimenti è inevitabile che la carne sintetica sia “brevettata” e ovviamente potrà essere prodotta solo dai detentori del brevetto, con conseguente rischio che si crei un regime di monopolio.
L’avvento della carne sintetica sulle nostre tavole viene visto con favore dagli animalisti e dagli ambientalisti. I primi pensano che si potrebbe porre fine alla macellazione degli animali, i secondi invece sono convinti che con la scomparsa degli allevamenti si ridurrebbe l’emissione nell’atmosfera di metano e anidride carbonica.
Analizzando bene la situazione però, forse le cose non stanno proprio così.
Se il substrato per la crescita dei tessuti dovesse continuare ad essere il siero di sangue sarà inevitabile ottenerlo da animali, che comunque andrebbero incontro a sofferenza e, ovviamente, sarebbe necessario mantenere gli allevamenti.
Per quanto riguarda le emissioni gassose, sono in molti a ignorare che la più grossa concentrazione di bovini al mondo (ritenuti i maggiori responsabili della emissione di gas serra) si trova in India, dove essendo considerati “sacri” non sono utilizzati ai fini alimentari e non sono macellati.
Inoltre, la produzione di carne sintetica dovrebbe avvenire in impianti industriali che ovviamente richiedono energia, la cui quantità per produzioni di tipo industriale non è ancora stata adeguatamente quantificata: secondo alcuni la produzione di questa energia potrebbe comportare l’emissione di gas serra dello stesso ordine di grandezza di quelli prodotti dagli allevamenti.
Inoltre i costi di produzione al momento sono piuttosto elevati e non competitivi con quelli necessari per la carne convenzionale, ed è difficile pensare che prodotti simili possano uscire dall’ambito dei Paesi industrializzati, per generalizzarsi a tutto il mondo.
Volendo trarre delle conclusioni, possiamo dire che la carne sintetica potrebbe contribuire a ridurre i problemi alimentari che prevedibilmente si dovranno affrontare in un futuro anche non troppo lontano. Al momento attuale però, i presupposti per una immediata immissione in commercio su larga scala sembrano mancare. Sarà comunque necessario attendere i risultati delle sperimentazioni in corso per capire se la logica delle produzioni industriali potrà prevalere sulla produzione zootecnica tradizionale.
Un ultimo appunto.
Alcune società nordamericane hanno messo in commercio con successo degli hamburger completamente vegetali, che hanno la caratteristica di contenere dell’eme (anch’esso di origine vegetale) che conferisce loro le stesse caratteristiche organolettiche della carne.
Sarebbe interessante paragonare costi e impatto ambientale di queste due tipologie di prodotti, prima di licenziare definitivamente la “Frankenmeat”. (da “Settimana Veterinaria”)