Cinghiali radioattivi: quali pericoli e quali precauzioni?
Gli animali che vivono allo stato selvatico sono esposti a contaminanti sia microbiologici, sia chimici o fisici presenti nell’ambiente. Nel caso dei cinghiali, tra gli agenti microbiologici, è nota l’infestazione da trichinella che rende le carni crude pericolose per la salute dei consumatori. Per questo motivo è necessario fare dei controlli per accertare la presenza o meno dei parassiti.
Questi controlli sono spesso accompagnati da altre analisi che hanno lo scopo di accertare la sicurezza delle carni anche per altri parametri ed in particolare la presenza di contaminanti ambientali. Questi controlli servono anche per capire lo “stato di salute ambientale” dei territori i cui vivono i cinghiali che, proprio per la vita che conducono, sono particolarmente esposti a sostanze potenzialmente pericolose ed hanno anche la possibilità di accumularle nel loro organismo.
Recentemente sono stati resi noti i risultati della ricerca di Cesio radioattivo nei tessuti di alcuni cinghiali che vivevano in Valsesia in provincia di Vercelli da cui risulta che la sua concentrazione è superiore anche di dieci volte rispetto ai livelli tollerati. L’ipotesi più probabile è che la Valsesia fu investita dalla nube fuoriuscita dalla centrale di Chernobyl con la conseguente caduta sul terreno di elementi radioattivi come il Cesio che, purtroppo, rimangono inalterati per moltissimi anni. Alcuni vegetali, ed in particolare i funghi, hanno una elevata capacità di assorbire il Cesio ed anche altri elementi.
I cinghiali si nutrono esclusivamente di alimenti che trovano in natura e non hanno alcuna possibilità di evitare il consumo di prodotti contenenti radionuclidi. Questi ultimi, una volta ingeriti, possono fissarsi nei tessuti e, lentamente, accumularsi fino a raggiungere concentrazioni elevate come quelle che sono state riscontrate negli animali controllati in Piemonte. La concentrazione “radioattiva” è quindi dipendente dalla quantità di radionuclidi presenti nel terreno e dall’età degli animali; ovviamente quelli più vecchi dovrebbero essere quelli più contaminati.
Il problema della pericolosità dei radionuclidi eventualmente presenti negli alimenti è stato discusso in un Convegno che si è tenuto il 23 marzo del 2012.
I limiti di “tolleranza” previsti per i radionuclidi negli alimenti sono molto cautelativi anche perché si tiene conto che uno stesso alimento “contaminato” potrebbe essere consumato con continuità. Nel caso delle carni dei cinghiali i limiti sono stati ampiamente superati, ma l’evenienza di un consumo continuativo di queste carni è improbabile per cui il pericolo per chi dovesse averle mangiate è da ritenere modesto.
La scoperta della presenza di radionuclidi nei tessuti dei cinghiali è un importante dato che potrebbe essere sfruttato per capire quali sono gli effetti che si hanno sugli organismi animali a seguito delle esposizione prolungata a basse dosi. Questo dato si potrebbe ricavare facendo delle osservazioni sugli animali ancora presenti nelle zone contaminate sia mediante studi clinici sui cinghiali in vita sia con esami anatomoistopatologici su quelli morti. Si tratta infatti di una vasta, anche se involontaria, sperimentazione in vivo a lungo termine che ha visto inconsapevoli cavie i cinghiali e che forse merita di essere approfondita con altre osservazioni per una valutazione finale.
Un dato molto interessante potrebbe essere quello della contaminazione delle piante edibili della zona in cui vivono i cinghiali “radioattivi” per capire se a distanza di quasi trent’anni dall’incidente di Chernobyl ci sono ancora pericoli. Una informazione del genere potrebbe essere utile non tanto per consumare o meno carne di cinghiale, quanto e soprattutto per il consumo di vegetali che crescono spontaneamente nella zona.
In mancanza di informazioni più precise ed a titolo del tutto precauzionale si suggerisce di limitare il consumo di carne di cinghiale proveniente dalla zona “contaminata” e, soprattutto, dei vegetali che crescono spontanei nella stessa zona.