Dal 1 luglio prossimo, salvo ulteriori slittamenti, sarà possibile per il consumatore leggere sull’etichetta dell’olio d’oliva extravergine che ha il sapore di carciofo (ottimo requisito), è dolce, mandorlato e altri pregi organolettici. Lo aveva stabilito il Regolamento CE n. 1044/2006 prolungando una vera e propria telenovela.
Un Regolamento del 2002 aveva ammesso l’indicazione in etichetta delle caratteristiche pregevoli dell’olio a partire dal 1 novembre 2003, data successivamente spostata al 1 novembre 2004, poi slittata al 2006 e infine al 2008. Il motivo è che ancora si stanno studiando metodi obiettivi di verifica di alcune caratteristiche organolettiche che valorizzano gli extravergini e sulla questione sta lavorando un organismo internazionale per mettere a punto nuovi metodi di valutazione organolettica che consentano di ampliare la gamma degli attributi positivi. Ma pare che i lavori abbiano richiesto tempi lunghi. Al momento, gli attributi positivi che possono essere riportati in etichetta sono soltanto tre, ovvero “fruttato”, “amaro”, e “piccante”, ma il più usato è di gran lunga fruttato, più simpatico al consumatore, il quale non sa che dovrebbe preferire il piccante, ricco di polifenoli benefici per la salute.
Dal 2003 sono state ammesse o rese obbligatorie altre diciture in etichetta. La denominazione olio extra vergine d’oliva deve essere accompagnata dalla dicitura: “olio d’oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici“. Inoltre:
- Tra le indicazioni facoltative è ammessa la dicitura “prima spremitura a freddo”, riservata agli extra vergini ottenuti a una temperatura inferiore a 27 gradi centigradi e dalla prima spremitura meccanica della pasta di olive, con un sistema di estrazione di tipo tradizionale con presse idrauliche. A parte la qualità organolettiche e chimico-fisiche dovute al tipo di olive, si tratta dell’olio migliore e il consumatore lo paga di più, anche se secondo qualcuno è difficile controllare la veridicità dell’indicazione.
- Sempre facoltativa è la dicitura analoga “estratto a freddo”, che però non indica l’olio esclusivamente “di prima spremitura”. E’ un po’ meno qualitativo di quello precedente.
- Non è più ammessa l’indicazione della sola acidità (per esempio, “a bassa acidità: 0,5%”), che per il consumatore è fuorviante, perché da sola non esprime la qualità dell’olio. Deve essere accompagnata dall’indice dei perossidi, dal tenore delle cere e dall’assorbimento nell’ultravioletto, che però sono elementi di giudizio soltanto per un chimico alimentarista. Tanto valeva vietare l’indicazione dell’acidità, che comunque per legge deve essere inferiore allo 0,8% nell’extra vergine. Per il consumatore sarebbe stata importante invece l’indicazione del contenuto in polifenoli al momento dell’imbottigliamento, che sono benefici per la salute e contrastano l’invecchiamento dell’olio.
- Per quanto riguarda l’indicazione della provenienza in etichetta, si è venuto a creare un conflitto fra l’Italia, ove fra 16 mesi diventerà obbligatoria, e la UE, le cui norme l’hanno dichiarata facoltativa. Non è ancora chiaro come finirà il conflitto, sul quale pende una procedura di infrazione comunitaria.
- In base al Regolamento CE n. 1019/2002, che dovrebbe prevalere sulle norme italiane, se l’extravergine è una miscela di oli e l’olio italiano raggiunge il 75%, può essere indicata in etichetta la percentuale prevalente di olio italiano, sempre che l’olio rimanente provenga da un Paese della CE.
- L’indicazione “olio extra vergine italiano” è ammessa soltanto se l’olio è ricavato al 100% da olive italiane macinate in un frantoio italiano.
- In ogni caso non può essere indicata la zona precisa di provenienza (per esempio, del Lazio, del Viterbese, eccetera), che è riservata soltanto agli oli DOP e IGP. Per gli altri, l’indicazione dell’origine riguarda soltanto lo Stato di provenienza o la generica Comunità europea.
Roma, 28 giugno 2008