Sino al 2014 in Italia era obbligatorio dichiarare la sede dello stabilimento dove vengono prodotti gli alimenti; con l’entrata in vigore del Regolamento Europeo 1169/2011, che paradossalmente è nato per fornire informazioni complete ai consumatori, tale obbligatorietà è scomparsa. La ragioni di quanto avvenuto sono probabilmente da correlare al fatto che, nello spirito delle regole comunitarie, tutti gli alimenti, indipendentemente dalla loro origine, debbono essere sicuri e quindi non è necessario indicare il luogo in cui è stato prodotto.
E’ evidente che una norma del genere può “appiattire” la qualità degli alimenti e i primi a soffrirne sono proprio quelli prodotti in Italia.
I Regolamenti Comunitari hanno una “gestazione” lunghissima e sono il frutto di discussioni tecniche e politiche che vedono coinvolti i rappresentanti di tutti i paesi inclusi gli italiani. La cosa strana è che nel nostro Paese ci siamo accorti della faccenda solo dopo l’uscita del Regolamento.
In ogni caso, non appena ci si è accorti del fattaccio, c’è stata una legittima sollevazione popolare che politicamente potremmo chiamare “bipartisan” tendente a ripristinare quanto cancellato dal Regolamento 1169/2011.
Molte aziende e anche molte catene di distribuzione degli alimenti nel frattempo hanno continuato a indicare nelle etichette il luogo di produzione; potrebbe però trattarsi di una misura volontaria presa per andare incontro ai desiderata dei cittadini e, in definitiva, a fidelizzarli negli acquisti.
Il nostro Governo si è mosso e ha avviato una trattativa con le competenti strutture comunitarie per modificare l’articolo 38 del Regolamento 1169/2011. Si tratta di una operazione molto complessa perché bisogna modificare una norma approvata da tutti i Paesi della UE e quindi è necessario trovare un nuovo accordo.
L’altra strada, parallela, è stata quella di emanare una norma nazionale che prevede, limitatamente al nostro Paese, l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione e/o di confezionamento degli alimenti. Tale via è stata intrapresa dal nostro Governo che, su proposta dei Ministri dell’Agricoltura e della Salute, ha recentemente “licenziato” un idoneo disegno di legge. Una volta approvata la Legge, sarà comunque necessaria “notificarla” alla UE che dovrà esprimere un giudizio prima che la “delega” venga accordata al nostro Paese.
Sicuramente con il provvedimento del Governo è stato fatto un importante passo in avanti, ma c’è ancora del cammino da fare prima che venga reintrodotto l’obbligo della indicazione dello stabilimento di produzione.
A questo punto c’è da chiedersi quali sono i vantaggi che il comune consumatore può trarre dalla reintroduzione della vecchia norma.
Sicuramente si tratta del rispetto del diritto di essere informato in modo completo di quello che mangia, in modo da poter fare una scelta oculata sulla qualità dei prodotti. Non dovrebbero esserci invece benefici particolari per quanto riguarda la sicurezza degli alimenti che deve essere comunque garantita indipendentemente dallo stabilimento di produzione.
Chi può trarre dei vantaggi sono le aziende nazionali che debbono reggere la concorrenza di produttori stranieri alle volte molto “aggressivi” con alimenti di qualità inferiore.
Non bisogna però dimenticare che molte aziende nazionali sono state acquisite da multinazionali che pur mantenendo le produzioni in Italia, possono aver introdotto tecniche innovative di derivazione straniera.
Il settore produttivo agroalimentare, grazie alla ricerca scientifica, è in continua evoluzione; purtroppo non tutte le aziende italiane sono in grado di investire in ricerca e molte di esse corrono il rischio di “restare al palo”.
In conclusione non si può non plaudire al tentativo di reintrodurre l’obbligo dell’indicazione dello stabilimento di produzione.
Potrebbe essere utile capire cosa sia successo nella fase di “costruzione” del Regolamento 1169/2011 e in particolare quale sia stata la “posizione” italiana quando si è discusso dell’articolo 38 che ha abolito l’obbligatorietà di indicare lo stabilimento di produzione. Ricordiamo anche che dovrebbe esserci stato un parere del Parlamento Europeo dove i nostri politici avrebbero potuto esprimere il loro dissenso. Se dai verbali dovesse emergere un parere negativo da parte dei nostri rappresentanti l’attività del nostro Governo potrebbe essere facilitata.
Si tratta comunque di una lezione molto importante perché dobbiamo renderci conto di fare parte di una Comunità in cui abbiamo diritto e dovere di esprimere le nostre opinioni ed è molto meglio farlo prima che le Direttive e i Regolamenti siano stati pubblicati.