La faccenda delle etichette alimentari è stata brillantemente risolta con il Regolamento 1169/2011 chiedendo alle aziende alimentari di “etichettare” i propri prodotti con precise indicazioni sul valore nutrizionale espresso per 100 grammi di prodotto. Se di quel prodotto vengono indicate l’entità delle porzioni o delle unità di consumo, è consentita, ad integrazione, una dichiarazione nutrizionale per porzione o per unità di consumo. I cittadini, che, confusi sì, ma cretini non sono, possono semplicemente leggere le etichette per capire quanto incide la porzione di prodotto che si sta consumando, sulla intera giornata calorica, il cui fabbisogno è indicato col numero medio di 2000 kcalorie. I parametri critici espressi in etichetta sono l’energia (kcal), e i grassi totali, i grassi saturi, gli zuccheri e il sale.
Il sistema inglese dei semafori
I primi a ritenere questo sistema non sufficientemente esplicativo sono stati gli inglesi che hanno ritenuto i cittadini di Sua Maestà la Regina non in grado di comprendere la dichiarazione nutrizionale e che fosse pertanto necessario fornire delle indicazioni suppletive e direttive; hanno dunque pensato bene di ricorrere alla segnaletica stradale. In pratica hanno deciso di mettere un colore rosso per quei parametri che superassero determinate soglie, un colore arancione sotto un determinato livello e un colore verde per numeri ancora più bassi. In altre parole sull’etichetta di un olio di oliva avremmo potuto vedere un bollino rosso per i grassi e per l’energia, ma due bollini verdi per gli zuccheri e il sale.
L’appiattimento delle informazioni sui 100 grammi tuttavia, pur se necessaria per comparare due prodotti della stessa categoria, è fuorviante per valutare l’impatto nutrizionale di un prodotto, perché non tiene conto delle quantità (ci sono alimenti che in una dieta equilibrata consumiamo nell’ordine dei chili, come acqua e frutta e verdura, altri che consumiamo nell’ordine degli etti, come pane e pasta, latte, carne, legumi, altri ancora che consumiamo a grammi, come i grassi da condimento) e delle frequenze di consumo.
Gli inglesi con la Brexit hanno lasciato la UE e quindi il loro semaforo è rimasto nei loro confini, ma ci hanno lasciato una pesante eredità.
Il Nutri-Score francese
L’idea dei colori ha infatti affascinato i nostri cugini d’Oltralpe che hanno inventato (e applicato) un sistema se vogliamo anche peggiore: il “nutri -score”.
Di cosa si tratta? Troppi bollini avrebbero potuto confondere il consumatore e quindi, con un bell’algoritmo, i francesi hanno deciso di “semplificare” dando un giudizio unico, riassuntivo del prodotto, ancora una volta per 100 grammi. Dal verde al rosso, sono previste 5 sfumature, dal migliore (secondo il Nutri-Score) di colore verde scuro, categoria A, al peggiore (sempre secondo il Nutri-Score), di colore rosso scuro o categoria E.
Oltre al difetto che si continua a dare la valutazione per 100 grammi di prodotto, si aggiunge il difetto del giudizio secco e inappellabile e di un algoritmo francamente discutibile. Secondo le intenzioni degli ideatori dovrebbe servire a indirizzare il consumatore verso scelte migliori all’interno della stessa categoria di prodotti. Ma non è così e vediamo perché. L’appiattimento sui 100 grammi non è corretto. Per esempio, ancora sull’olio di oliva: secondo il nutri-score è in classe C (giallo). A parte che è stato elevato di livello solo in seguito alle aspre critiche che sono state mosse al Nutri-Score, perché originariamente era stato classificata D (arancione scuro). In seguito ad una modifica dell’algoritmo, gli oli di oliva, di colza e di nocciola hanno ricevuto un bonus e sono stati spostati da D a C. Ma c’è di più: l’industria può costruire un dressing per insalata (e ce ne sono già in commercio) che rispetti tutti i parametri e che risulti di categoria A o B. Ebbene, poiché non si tiene conto della porzione, il consumatore riterrà migliore il condimento costruito in laboratorio e siccome non si parla di porzioni, mentre per l’olio di oliva basterebbe un cucchiaio per dare sapore e gusto all’insalata, dell’altro ci vorrà un intero flacone per raggiungere gli stessi effetti dell’olio di oliva e poiché presumibilmente costerà anche molto meno il consumatore abbonderà certamente.
Ma c’è di più: il nutri-score non prende in considerazione i grassi totali, ma solo i saturi, come se fossero gli unici responsabili di eccedenza ponderale, ma dà arbitrariamente un premio per le proteine (di cui francamente non abbiamo certamente carenze, anzi). Ciò significa che con una spruzzatina di proteine in un prodotto si migliorerà nettamente il Nutri-Score.
E che dire della pizza margherita? 100 grammi di pizza margherita le valgono il vanto di una bella classe B (verde). Questo dice al consumatore che può consumare pizza ad libitum, spinto dalla colorazione verde, perché se non si tiene conto della porzione (che per una pizza è di 350 grammi circa) e delle frequenze di consumo si trae in inganno il consumatore.
E’ come quando ci troviamo per strada: se troviamo verde passiamo serenamente, con il giallo o ci fermiamo o passiamo con qualche apprensione e timore che arrivi la multa, con il rosso ci fermiamo altrimenti ci ritirano la patente.
La proposta è stata valutata positivamente da alcuni Paesi della UE, ma da noi non è stata molto gradita, sia per le motivazioni sopra riportate, ma anche perché, diciamocelo, va contro l’articolo 35 del citato regolamento 1169 che al comma f dice che le forme di espressione permesse in etichetta non devono essere “discriminatorie”. Ora: più discriminatorio di rosso e verde cosa ci può essere?
COS’AVRÀ PENSATO DUNQUE L’ITALIA? Per scoprirlo, non perdere la seconda puntata del nostro speciale sulle etichette alimentari!