Del granchio blu (Callinectes sapidus) se ne fa un gran parlare per i danni che arreca al nostro patrimonio ittico sia quello “selvaggio”, sia, e soprattutto, a quello degli allevamenti di molluschi. Si parla anche del suo consumo alimentare che potrebbe trasformare questo “flagello” in una ottima opportunità. Sembra infatti che la sua cattura non sia particolarmente difficoltosa e che dalla sua vendita si possono ottenere importanti guadagni.
Cerchiamo di capire.
Gli habitat originali del granchio blu sono le acque marine, ma anche quelle dolci delle coste del Nord America dove viene normalmente pescato ed utilizzato come alimento. Risulta peraltro che la pesca eccessiva in quelle zone stia addirittura mettendo a rischio la sopravvivenza di questo crostaceo.
Ma per l’estinzione al momento non ci sono problemi perché grazie ai trasporti marittimi è riuscito ad arrivare nel Mediterraneo trovando condizioni climatiche analoghe a quelle del Nord America e, in tempi relativamente brevi, si è riprodotto fino al punto di divenire un pericolo per la fauna ittica nostrana inclusa anche quella allevata.
Vittime previlegiate del granchio blu sono i molluschi bivalvi (cozze e vongole in particolare) che non riescono a scappare. Altre vittime sono i pesci intrappolati nelle reti dei pescatori che essendo immobilizzati sono facili prede dei granchi. In questi casi oltre alla perdita del pescato c’è il danno arrecato alle reti che sono spesso tranciate dalle potenti chele del crostaceo.
Sono evidenti i gravi danno economici agli allevatori di molluschi e ai pescatori; di conseguenza la prima cosa a cui si è pensato è stata quella di un indennizzo da parte dello Stato.
Sicuramente si tratta di una buona iniziativa per sostenere la nostra asfittica produzione ittica (ricordiamo che circa il 70 % dei prodotti ittici che consumiamo è di importazione). Si tratta però di una misura provvisoria che non si può protrarre all’infinito.
Cosa fare.
La soluzione è però a portata di mano ed è anche stata attuata: si tratta solo di organizzarsi al meglio per pescare i granchi blu e mangiarli.
Dalle informazioni disponibili risulta che la resa in “carne” o meglio in “polpa” è di circa il 18 % dalle femmine e del 24 % dai maschi.
100 grammi di “polpa contengono circa 80 % di acqua, 18 % di proteine, 1% di grassi prevalentemente insaturi, tracce di carboidrati. Il colesterolo è circa 80 mg, presentano un buon contenuto vitaminico. Tra i sali minerali si rileva un contenuto di sodio di quasi 300 mg e di potassio di circa 330 mg.
Si tratta quindi di un alimento indicato per chi osserva una dieta ipocalorica, ma le persone che soffrono di ipertensione debbono fare attenzione a non esagerare nei consumi per l’elevato contenuto di sodio.
I granchi blu sono facilmente deperibili e quindi devono essere consumati freschi e la loro conservazione deve avvenire al freddo.
Circa l’1% della popolazione è allergica alla chitina dei crostacei e ovviamente queste persone non possono consumare il granchio blu.
Un problema che può scoraggiarne il consumo è la complessità della separazione della “polpa” dal carapace. Si tratta effettivamente di una operazione un po’ complicata che richiede un minimo di esperienza; chi ha dimestichezza con i gamberoni, gli astici e le aragoste, se la può cavare benissimo.
Il granchio blu può essere consumato anche prima dello sviluppo del “carapace” e in questi casi si mangia intero.
Da quanto detto esistono tutti i presupposti affinché il granchio blu entri in pompa magna nella nostra cucina e saranno i cuochi ad utilizzarli al meglio elaborando ricette che ben si adattano alle nostre abitudini alimentari. Qualche “purista” potrà obiettare che si si tratta di un alimento estraneo alla “dieta mediterranea”; va però considerato che si tratta di crostaceo con i pregi e i difetti simili a quelli presenti nelle nostre acque. Poi si tratta di un alimento prodotto in Italia proprio nel Mediterraneo, al contrario di altri crostacei che sono largamente importati.