GRANO DURO PER LA PASTA : QUELLO ITALIANO E’ VERAMENTE “ER PIU’ MEJO”

Agostino Macrì
21 Luglio 2023
Condividi su

La pasta, fiore all’occhiello delle nostre produzioni alimentari, si ottiene dalla lavorazione della semola, essa stessa derivante dalla trasformazione del grano duro che, come è noto, ha la quantità di proteine ottimali per garantire delle ottime caratteristiche della pasta stessa.

La produzione di grano duro nazionale non è però sufficiente a coprire i fabbisogni dei nostri molini e pastifici  per cui è necessario ricorrere alle importazioni da altri Paesi. Questa nostra “carenza” presenta però anche dei lati positivi  in quanto i mugnai riescono a miscelare i diversi grani duri nazionali e di importazione  ottenendo delle “formulazioni” che spesso sono il motivo del successo della pasta “nazionale” tra i consumatori italiani e i tanti altri del resto del mondo.

Insomma da necessità è stata fatta virtù

Il ricorso alle importazione non è gradita da talune organizzazioni produttive agricole che da tempo stanno conducendo feroci battaglie contro l’importazione di grano duro affermando la necessità di preferire il grano nostrano. Questa linea ha trovato il consenso da gran parte dell’opinione pubblica, da molte organizzazioni politiche e anche dalle Autorità di Governo.

La situazione è molto complessa e non sempre i cittadini riescono a capire quali sono i problemi veri soprattutto in questo periodo in cui si assiste a un forte aumento del costo della pasta al dettaglio.

Cerchiamo di capire.

La superficie agricola dal nostro Paese destinata alla produzione di grano duro è limitata e i nostri agricoltori trovano difficoltà a competere con quelli di altri Paesi che dispongono di territori pianeggianti molto estesi in cui è possibile applicare tecnologie produttive avanzate che consentono di ottenere il frumento a costi contenuti.

I nostri agricoltori reagiscono a questa situazione puntando sulla qualità e anche su alcune produzioni di “nicchia” (grani antichi) che però hanno uno scarso peso “quantitativo” e, di fatto,  consentono di produrre poca pasta e destinata a chi può spendere qualcosa in più.

Sono in molti a sostenere che il nostro frumento è più “sicuro” di quello di importazione soprattutto per quanto riguarda le presenza di “residui” di fitofarmaci. Questo però non è vero  sia perché le sostanze chimiche impiegate, sia le modalità di impiego sono le stesse in tutto il mondo. Inoltre il grano, prime di essere messo in lavorazione, viene accuratamente controllato per evitare  pericoli per i consumatori.

Il costo del grano è fortemente influenzato dalle condizioni climatiche e anche sociali che possono mutare in tempi molto rapidi. Al momento della semina gli agricoltori, soprattutto quelli italiani, non possono facilmente stimare  quanto potranno ricavare  e qualcuno piuttosto che coltivare il grano si rivolge a qualche altra coltura economicamente più “sicura”.

In questo momento di forte instabilità politica, sociale e climatica, il grano duro è quindi soggetti a forti oscillazioni di prezzo che si traducono anche nel costo della pasta che è molto aumentato. Sappiamo purtroppo per esperienza che difficilmente i prezzi della pasta scenderanno quando il grano costerà di meno.

Resta comunque una forte preferenza dei cittadini alla pasta fatta con grano italiano. Non bisogna dimenticare che tempo fa e l’ostracismo ai grani di importazione ha colpito anche alcuni italianissimi pastifici che avevano avuto l’ardire di stampare il tricolore sulla loro pasta che conteneva del grano di importazione.  

Ma il grano italiano è veramente migliore?

Da un punto di vista di sicurezza non ci sono differenze significative tra il grano nazionale e quello di importazione. 

La qualità è diversa tanto che spesso, come accennato, si ricorre  alla miscelazione di semole di diversa origine per ottenere migliori risultati; purtroppo però la raccolta del grano duro italiano del 2023 non sembra essere qualitativamente sufficiente.

In un nota del 19 luglio 2023 il Presidente dell’Associazione Industriale Mugnai d’Italia  (Italmopa) afferma:

 “I volumi produttivi, che stimiamo in circa 4,15 milioni di tonnellate, appaiono certamente ridimensionati rispetto alle iniziali aspettative. Ma sono i risultati qualitativi del raccolto a destare grandi preoccupazioni visto che tutti i principali parametri, dal tenore proteico al peso ettolitrico, devono purtroppo essere considerati chiaramente insoddisfacenti. Una situazione che non potrà non influire sulle strategie di approvvigionamento dell’Industria molitoria italiana, con necessità di un maggior ricorso ad onerose importazioni da parte della medesima che, da sempre, trasforma le migliori varietà di frumento, a prescindere dalla loro origine, per produrre semole rispondenti alle esigenze dei pastai italiani e dei consumatori”. La situazione determinatasi avvalora in ogni modo, e ulteriormente, il concetto secondo il quale la qualità della materia prima non può essere semplicemente ricondotta soltanto alla sua origine ma piuttosto alle condizioni agronomiche e climatiche, oltre alla necessaria professionalità dell’imprenditore agricolo, costatate negli areali di produzione”.

Considerazioni finali

Quanto affermato dalla Italmopa deve farci riflettere sulle strombazzanti (e forse fuori luogo) asserzioni del primato qualitativo delle produzioni italiane del frumento. 

I citati “strombazzatori” riusciranno a spiegare ai cittadini che se vogliamo mangiare della pasta di buona qualità dobbiamo ricorrere a più importanti importazioni di grano duro dall’estero? 

La produzione nazionale di grano duro sarebbe teoricamente sufficiente per coprire il fabbisogno interno, inteso come il volume totale di pasta consumato in Italia. E’ tuttavia importante evidenziare che circa il 60 % della produzione nazionale di pasta è destinata ai mercati esteri e che questa percentuale tende ad incrementarsi anno dopo anno. Questo significa che le import sono indispensabili sia per motivi quantitativi (le export di pasta non sarebbero possibili senza l’import di grano), sia per motivi qualitativi laddove il raccolto, come quello 2023, fosse deficitario per le caratteristiche della materia prima. In ogni modo le import NON sono alternative alla produzione nazionale (totalmente trasformata dall’Industria italiana) ma, e da sempre, complementari alla stessa (peraltro le quotazioni del grano importato risultano mediamente e storicamente superiori del 15-20 percento rispetto a quelle del grano nazionale.

Contrariamente a quanto proclamato da alcune rappresentanze agricole, la superficie di frumento duro in Italia risulta essere rimasta sostanzialmente stabile nel corso degli ultimi 18 anni (post pac 2005) a prescindere dall’andamento delle quotazioni della materia prima.

Bisogna infine ricordare che oltre agli agricoltori abbiamo degli importanti pastifici che riescono a trasformare le materie prime a loro disposizione (nazionali e d’importazione) in pasta che il mondo ci invidia. La campagna dissennata di estrema tutela del grano nazionale potrebbe metterne a repentaglio l’esistenza.

Diviene quindi di fondamentale importanza tutelare l’intera filiera produttiva della pasta ricorrendo anche alla utilizzazione di grano duro di importazione.

Per rispondere al questo del titolo possiamo affermare con ragionevole certezza che la pasta prodotta in Italia è “la più mejo”, ma per farla è indispensabile utilizzare anche del grano duro di importazione.

Condividi su: