Nei negozi si continua a chiamare “prosciutto di montagna” quello che non è di montagna, ma quasi sempre è una denominazione illegale. Infatti, il decreto legislativo n. 228/2001 ha vietato le denominazioni “montagna”, “prodotto di montagna” e simili su tutti i prodotti alimentari che non sono elaboratori nelle aree di montagna.
Tipico è il caso del prosciutto ordinario, che da secoli viene comunemente chiamato “di montagna” perché un tempo, per evitare le alterazioni, veniva stagionato sulle montagne ove la temperatura è più bassa, per esempio su quelle di Norcia, paese dal quale è derivato poi il nome di “norcino”, equivalente a salumaio. Oggi quasi tutti i normali prosciutti vengono stagionati in pianura, sia perché i magazzini di stagionatura sono climatizzati sia perché le tecniche di preparazione si sono evolute e non c’è il rischio di alterazioni.
Produttori e negozianti devono quindi togliere etichette o cartellini con la dizione “prosciutto di montagna”, onde evitare possibili denunce per frode in commercio. Per la verità il decreto non specifica che cosa debba intendersi per “montagna”, rimandando alle definizioni contenute nella Direttiva CEE n. 75/268 e nel Regolamento CE n. 1257/1999, che ugualmente non ne danno una precisa definizione. La montagna viene infatti genericamente definita come una zona con “condizioni climatiche molto difficili dovute all’altitudine, che si traducono in un periodo vegetativo molto abbreviato”, oppure con un’altitudine inferiore ma caratterizzata da “forti pendii che rendono impossibile la meccanizzazione”. La legge italiana che prevede provvedimenti per i territori montani ha stabilito invece un’altitudine minima di 600 metri, mentre il sistema statistico considera montagna il territorio con altitudine non inferiore a 600 metri nell’Italia settentrionale e a 700 metri nell’Italia centro-meridionale.Roma, 14 aprile 2007