E’ stato richiesto all’UNESCO di considerare la “transumanza” (vale a dire il trasferimento delle pecore dalla pianura in montagna -e viceversa- alla ricerca dei pascoli migliori) come “bene immateriale dell’Umanità”. La transumanza è, in effetti, un patrimonio “culturale” della nostra civiltà contadina che merita di essere ricordata. La “transumanza” è una fase essenziale dell’allevamento ovino tradizionale praticato in diverse zone del centro sud e delle isole italiane; negli ultimi decenni però ha subito profonde modificazioni e che si sta estinguendo.
Gli ovili sono dei recinti precari con una capanna “multiuso”; nei recinti le pecore dormono all’aperto mentre la capanna serve come ricovero per i pastori, ma anche come “caseificio” per la trasformazione del latte.
La giornata comincia molto presto con la prima mungitura delle pecore; non appena i prati si asciugano dalla rugiada, gli animali sono condotti a pascolare facendo loro percorrere tragitti più o meno lunghi alla ricerca del foraggio fresco. Nelle ore più calde le pecore si fermano in gruppo per “ruminare” quello che hanno ingerito. Inizia poi la strada per il ritorno all’ovile e verso sera si passa alla seconda mungitura.
Il latte raccolto nelle due mungiture viene riunito e messo in grossi pentoloni con l’aggiunta del caglio; si riscalda con fuoco a legna e si ottengono tre prodotti :
- a) la “cagliata” che dopo la stagionatura diventerà formaggio,
- b) una parte che rimane a “galla” che è raccolta per farne la ricotta da consumare fresca
- c) una fase liquida chiamata “latticello” da somministrare ai suini e/o ai cani che accompagnano il gregge.
Le pecore vivono per la maggior parte dell’anno nei territori pianeggianti o di bassa collina, dove nel periodo estivo c’è poco foraggio. Proprio per questo motivo si rende necessario trasferire le greggi nelle zone montane fresche ricche di pascoli.
Come accennato, tradizionalmente il trasferimento avveniva con la “transumanza” ovvero marce anche di centinaia di chilometri attraverso i “tratturi” che sono tragitti ben definiti segnati nel corso dei secoli e che in parte sono ancor oggi visibili. Durante il percorso si attraversavano dei paesi e questo alle volte comportava delle perdite a causa delle popolazioni locali che non disdegnavano di catturare qualche pecora attraverso “botole” piazzate “ad hoc” lungo le strade del paese. I festeggiamenti avvenivano dopo il passaggio delle greggi mangiando le pecore rubate e cotte secondo le più genuine tradizioni locali.
In autunno si faceva il percorso inverso con gli stessi problemi di fatica e di “assottigliamento” numerico quasi fisiologico.
Benessere dei pastori. Non sempre si tiene conto della dura vita del pastore che vive a stretto contatto con le pecore da seguire, accudire, proteggere e mungere. Inoltre debbono preoccuparsi della caseificazione del latte, della tosa oltre che, ovviamente, occuparsi delle “faccende” domestiche come la cucina e la pulizia personale e delle capanne. I rapporti umani, almeno nel passato, erano molto precari. La situazione diveniva più complicata proprio con la transumanza che, di fatto, provocava il distacco dalla famiglia per qualche mese e la necessità di doversi in qualche modo “arrangiare”. Un esempio di questo “arrangiamento” ci arriva dai pastori di Amatrice. Essi disponevano del formaggio pecorino, della pancetta ricavata dai loro maiali e anche della pasta. Mettendo insieme questi ingredienti hanno creato la pasta all’amatriciana che tanto successo riscuote tra i buongustai.
Benessere delle pecore. Contrariamente a quanto si può immaginare le pecore “pascolanti” non godevano (e non godono) di una vita particolarmente agevole. Trattandosi di animali molto miti erano soggetti all’attacco di animali predatori da cui erano comunque difese dai pastori e dai cani che vigilavano costantemente.
Vivendo a stretto contatto con l’ambiente le possibilità di contrarre malattie infettive sono molto elevate e nel passato le possibilità di prevenirle e curarle erano scarse. Teniasi, strongilosi, brucellosi, afta epizootica, carbonchio ematico, salmonellosi, rogna sono soltanto alcune delle malattie che colpivano le pecore con serie conseguenze per la loro salute. Zoppie, aborti, polmoniti, gastroenteriti, febbri debilitanti si manifestavano con frequenza e spesso avevano il carattere di cronicità. L’introduzione di efficaci vaccini e farmaci nell’allevamento ovino sono iniziate nella seconda metà del secolo scorso; prima ci si affidava a cure empiriche di scarsa efficacia.
Da sottolineare che al momento, grazie proprio ai farmaci e i vaccini, le pecore godono di ottime condizioni di salute e gli alimenti da esse prodotti sono molto sicuri.
Oltre che creare sofferenza agli animali, molte delle malattie potevano colpire anche l’uomo e purtroppo sia i pastori, sia i consumatori di formaggi ovini erano colpiti con una certa frequenza da malattie che potevano anche risultare letali.
I cicli vitali delle pecore erano (e sono) legati alla loro capacità di produrre latte e venivano mantenute in vita fino a quando davano delle buone rese; quando le produzioni calavano passavano nelle mani dei macellai ed erano rimpiazzate da pecore giovani.
Più complicata la vita per i maschi. Erano fatti nascere in prossimità delle feste pasquali e fatti fuori molto giovani (circa un mese di vita) per festeggiare la solennità. I sopravvissuti erano castrati per tenerli “buoni” e macellati tra i 3 e i 5 mesi per ottenere delle ottime carni. I maschi migliori erano utilizzati per la riproduzione e forse erano i più fortunati. Ogni ariete deve “servire” 40 -50 pecore e il suo compito è quello di “coprirle” tutte ma in periodi di tempo limitati e ovviamente molto intensi. Per il resto astinenza.
Conclusioni. La transumanza ha permesso di utilizzare al meglio le risorse ambientali e anche di ottenere delle buone produzioni zootecniche: essa è il frutto di sapienti intuizioni degli antichi pastori e fa parte della nostra tradizione che deve restare nel nostro patrimonio culturale. Però non pensare che la vita dei pastori e delle pecore fosse particolarmente lieta e parlare dello “stress” della pecora transumante non è poi del tutto fuori luogo.