Anche se la coltivazione degli ulivi per la produzione di olio è ancora confinata nel Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, altri Paesi, e in particolare la Cina, l’Australia e gli Stati Uniti stanno mettendo a dimora milioni di piante e non è difficile prevedere che nei prossimi anni saranno in grado di produrre l’olio che adesso importano. Una politica di coltivazione “intensiva” dell’olivo è attualmente praticata dalla Spagna e anche da Paesi del Nordafrica, mentre nel nostro Paese esiste ancora una prevalenza di coltivazioni tradizionali che danno oli di grande qualità anche se in minore quantità: infatti l’Italia da sola non riesce a produrre l’olio di cui ha bisogno e lo deve in buona parte importare.
L’olio più pregiato è l’extravergine che, secondo la definizione di legge, è quello che si ottiene dalla prima spremitura delle olive. Esso deve rispettare alcuni parametri quali l’acidità e un limitato contenuto di alchilesteri. Deve rispondere a precise caratteristiche organolettiche che sono valutate con un “panel test” (olio valutato da un gruppo di assaggiatori esperti) da eseguire secondo procedure indicate dalla UE.
Tutti gli oli extravergini che troviamo in commercio rispondono ai parametri indicati, ma, anche se la sicurezza deve essere ugualmente garantita, la qualità può variare sensibilmente.
Quest’ultima dipende infatti dalle modalità di raccolta delle olive, dalla loro conservazione prima della molitura, dall’efficienza dei frantoi, dall’idoneità dei contenitori dell’olio a evitare esposizione alla luce e all’aria.
Esistono comunque delle tecniche che consentono di eliminare taluni dei difetti dovuti a una non buona frangitura in grado di fare ritornare “extravergine” un olio che ha perduto questa caratteristica.
Per accertare questi “aggiustamenti” al momento non sono disponibili metodi analitici strumentali attendibili, mentre di grande aiuto è il “panel test” che consente ancora di discriminare la qualità degli oli di oliva.
Tutti gli oli extravergini di oliva attualmente in commercio debbono aver superato la prova del “panel test” e probabilmente questo in qualche modo danneggia alcuni che non riescono a produrre oli con le caratteristiche organolettiche richieste e quindi non potrebbero fregiarsi dell’appellativo “extravergine”.
Questa situazione ha innescato una sordida battaglia tra i produttori di olio. Risulta infatti che gli spagnoli propongono di eliminare il “panel test” tra i controlli obbligatori mantenendo soltanto i controlli analitici chimico-fisici. A questa proposta si oppongono con fermezza i produttori italiani che invece vogliono il mantenimento del “panel test” che è un ottimo deterrente contro gli “aggiustamenti” dell’olio.
È evidente che gli interessi in gioco sono enormi. Un ottimo olio “extravergine”, come la maggior parte di quello prodotto in Italia, ha un costo che è almeno il doppio di quello “commerciale” di importazione. Se si abolisce il “panel test” ci sarà un’invasione di oli extravergini che tali non sono, a prezzi molto bassi che di fatto metterebbero in grossa difficoltà gli oli di qualità superiore.
Invece di abolire il “panel test” sarebbe opportuno integrarlo con altri controlli anche di maggiore severità, in modo da garantire al consumatore la certezza di acquistare un olio che sia veramente extravergine.
A tale proposito si segnala la caratteristica fondamentale della presenza di antiossidanti nei migliori oli extravergini. In quelli più a buon mercato la presenza di queste sostanze è spesso ridotta al minimo se non del tutto assente.
Insomma, con un normale olio di oliva si consumano dei grassi vegetali che comunque non creano problemi di sicurezza alimentare. Un buon olio extravergine ha un valore aggiunto sia organolettico, sia in termini di sostanze antiossidanti. Purtroppo al momento non è facile discernere tra i diversi tipi di olio. Speriamo che a breve qualcuno ci aiuti a capire e a fare le giuste scelte.