L’olio di oliva, e in particolare quello extravergine (EVO), è considerato un elemento fondamentale della dieta mediterranea. E’ molto diffusa la convinzione che la produzione nazionale sia sufficiente a coprire i nostri fabbisogni, ma, purtroppo, la situazione è completamente differente e siamo costretti a importarne circa il 50 % da altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il nostro olio proviene da olivicoltura tradizionale che permette di ottenere un prodotto qualitativamente elevato, ma i costi di produzione sono più alti.
Altri Paesi invece hanno “industrializzato” i sistemi di coltivazione e di “frangitura” delle olive riuscendo a ottenere oli a costi più bassi, ma di qualità spesso inferiore a quella degli oli italiani.
Per “classificare” la qualità dell’olio esistono dei metodi di valutazione “sensoriali” (cosiddetto “panel test”) che, insieme ad alcune analisi chimiche, consentono di differenziare l’EVO dall’olio comune. Alcuni Paesi, in particolare la Spagna, hanno proposto di abolire questo test che di fatto potrebbe escludere alcuni loro oli dalla fascia di quelli di pregio, ma questo tentativo è stato “bloccato” dagli oleicoltori italiani.
Anche se tutti gli oli che troviamo in vendita hanno un ottimo livello di sicurezza, la qualità può essere differente e i migliori, spesso quelli italiani, hanno ovviamente dei costi maggiori.
Ne è nata una guerra commerciale che vede contrapposti i produttori “tradizionali” italiani che puntano sulla qualità e coloro che lavorano gli oli di importazione che invece puntano sui prezzi di vendita più bassi.
I messaggi pubblicitari tendenti a valorizzare gli oli autenticamente italiani non hanno sortito effetti positivi; infatti il consumo medio pro capite di olio di oliva in Italia negli ultimi anni è calato di circa il 30 %. (da circa 12 kg a circa 8 kg per persona).
Ad alimentare il clima di sfiducia ha probabilmente contribuito la comparsa del batterio xylella che ha infettato alcuni oliveti in Puglia e magari qualcuno ha pensato che l’olio fosse meno sicuro.
Per fronteggiare la malattia degli olivi, sin da subito gli esperti e la stessa Commissione della UE hanno chiesto di estirpare le piante ammalate ed applicare alcune pratiche agricole per evitarne la diffusione.
Senza nessuna ragione scientifica a questa misura si sono opposte organizzazioni ambientaliste, politiche e anche agricole che, complice anche la necessità di seguire complessi iter burocratici, hanno di fatto rallentato e in qualche caso anche bloccato le operazioni di bonifica.
La conseguenza è stata drammatica perché la xylella ha esteso di circa quattro volte la sua area di diffusione. All’azione devastante della xylella si è aggiunta quella del gelo eccezionale dell’inizio del 2018.
Lo scenario che si va delineando, almeno a breve termine, non sembra essere roseo in quanto per fronteggiare il probabile calo di produzione nazionale, è prevedibile un aumento della importazione di olio di oliva qualità non eccelsa, ma di costo modesto e in grado di soddisfare le richieste dei consumatori meno esigenti.
Rovesciare la situazione non è facile, ma è possibile se si punta alla qualità del nostro olio. I nostri produttori dovrebbero essere messi in grado reagire agli “attacchi” commerciali provenienti dai competitori di altri Paesi., facilitandoli nella difesa della qualità dell’olio italiano e anche combattendo in modo efficace la diffusione della xylella.
Occorre però fare chiarezza: la differenza tra l’olio italiano e quello di importazione non risiede nella “sicurezza”, ma nella “qualità”. Acquistando una bottiglia di olio al supermercato anche a meno di 5 euro al litro, non si compromette la nostra salute. Se però si desidera l’eccellenza qualitativa è più facile trovarla in molti oli italiani che hanno prezzi decisamente superiori.
Purtroppo gli attuali criteri per la classificazione dell’olio extravergine di oliva non aiutano e consentono di inserire in questa categoria anche oli di qualità inferiore; bisognerebbe rivederli con l’introduzione di nuovi parametri (ad esempio la determinazione degli antiossidanti) consentendo ai cittadini di fare delle scelte consapevoli.
Fonte: La Stampa