Recentemente è stato trovato in Piemonte un cinghiale infetto da peste suina africana e altri sono risultati sospetti. In molti avete dunque scritto agli sportelli dell’UNC chiedendo se si tratta di una malattia pericolosa anche per l’uomo. Facciamo chiarezza.
Cos’è la peste suina africana
La peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce soltanto i suini sia domestici (maiali), sia quelli selvatici (cinghiali e facoceri).
Chiariamo subito che non è una zoonosi e l’uomo è completamente immune.
La malattia si manifesta con gravi lesioni agli endoteli vasali di tutti gli organi e tessuti con la comparsa di emorragie diffuse che portano ben presto alla morte gli animali infetti. La malattia si diffonde sia per contatto diretto con gli animali ammalati, sia attraverso il contatto indiretto da parte di “vettori” (persone, animali selvatici, mezzi di locomozione imbrattati di materiale organico) che diffondono il virus.
Ciò è dovuto al fatto che il virus è abbastanza resistente e sopravvive a lungo nell’ambiente.
Una via indiretta è rappresentata da salumi e carne cruda ottenuti da animali infetti; se le parti che avanzano sono utilizzate come alimento per i suini è facile diffondere la malattia.
La prevenzione della malattia
Al momento attuale non esistono vaccini o farmaci in grado di prevenire o curare la malattia e l’unica misura efficace è lo “stamping out”, ovvero l’abbattimento e la distruzione, possibilmente mediante incenerimento di tutti gli animali infetti e di quelli che si trovano nelle stesse aree colpite.
Contemporaneamente per evitare che la malattia si diffonda viene proibita ogni movimentazione degli animali e in pratica si blocca ogni attività commerciale dei suini e delle loro carni provenienti dalla zona “infetta” con evidenti danni economici sia per gli allevatori, sia per i trasformatori delle carni in salumi.
Il caso del cinghiale affetto da peste suina africana
Dicevamo che recentemente in Piemonte è stato trovato un cinghiale infetto da PSA e altri sono risultati sospetti. Ancora non si conosce il livello di diffusione della malattia e le Autorità Sanitarie Veterinarie sono impegnate nelle indagini per approfondire le conoscenze. Il lavoro è complicato perché i cinghiali si muovono nel territorio con grande facilità e possono veicolare rapidamente il virus in territori più ampi.
Suini: allevamenti rurali e industriali
Per quanto riguarda i suini la situazione è diversa per gli allevamenti rurali e gli industriali.
I rurali sono generalmente inseriti in un contesto ambientale e per loro è più facile trovarsi a contatto con i cinghiali.
Diversa è la situazione per gli allevamenti industriali dove gli animali sono confinati in locali isolati dell’ambiente circostante e dove gli allevatori attuano delle misure igieniche per evitare ogni forma di contagio.
L’eventuale applicazione dello “stamping out” potrebbe essere molto complessa per i cinghiali, mentre sarebbe relativamente facile soprattutto per i maiali degli allevamenti industriali. Nel primo caso sarebbe molto difficile “stanare”, catturare e abbattere tutti i cinghiali infetti o potenzialmente infetti presenti in un territorio, mentre per i maiali allevati l’operazione è più agevole.
Il caso del 1967
Adesso parlo per esperienza diretta*. Nel 1967 abbiamo avuto un’epizoozia di PSA in Italia. Il primo focolaio si è avuto a Roma e poi si è diffuso in altre regioni. Sembra che sia dipeso dal fatto che esistevano degli allevamenti in cui gli animali erano alimentati con scarti alimentari (porcarecce); tra i vari scarti sarebbero stati somministrati gli avanzi del “catering” di un aereo spagnolo che aveva servito ai passeggeri salumi freschi derivati da maiali ammalati da PSA che il quel tempo era presente in Spagna.
E’ stato tempestivamente avviato un piano di “stamping out” con il blocco della movimentazione degli animali e in un paio di anni la malattia è stata estinta.
Il tutto ha comportato l’abbattimento di circa 100.000 suini. Lo Stato italiano ha speso oltre dieci miliardi di lire; il costo complessivo, tenendo conto dei danni economici subiti dall’intero comparto suinicolo salumiero, è stato stimato essere di qualche decina di miliardi di lire.
Cinghiali e suini in Sardegna
Nonostante gli sforzi, in Sardegna, dopo oltre 40 anni dai primi focolai di PSA , ancora non si è giunti a una completa eradicazione a causa della presenza di cinghiali e anche di suini che vivono allo stato brado. Ciò ha penalizzato pesantemente la filiera della carne suina sarda che ancora non può essere commercializzata fuori dell’isola.
La speranza è che l’episodio riscontrato in Piemonte sia isolato, che si riesca a circoscrivere e che la malattia sia estinta al più presto possibile. Confidiamo anche nella comprovata efficienza e competenza dell’intero nostro Servizio Veterinario. Dobbiamo purtroppo fare presente che in Italia abbiamo oltre un milione di cinghiali e se la malattia dovesse diffondersi potrebbe verificarsi una situazione estremamente grave per la nostra economia.
Conclusioni sulla peste suina africana
In conclusione, si ribadisce che la malattia riguarda soltanto i suini e non interessa l’uomo. Anche se in modo accidentale dovessimo venire a contatto con animali ammalati e addirittura dovessimo mangiare della carne proveniente da questi animali, non ci succederebbe niente.
*V. Mazzaracchio. 1968 Rapporto Istituto Superiore di Sanità: L’episodio della peste suina africana in Italia