Gli attuali sistemi di allevamento dei polli sono da più parti criticati in quanto si ritiene che siano scarsamente rispettosi del benessere animale e si auspica un ritorno alla “natura” con gli animali lasciati liberi di razzolare nelle aie e nei campi per ottenere il pollo “ruspante” e le uova fresche del “contadino”. Tralasciando gli aspetti economici che renderebbero i prodotti avicoli insostenibili per la stragrande maggioranza dei cittadini, nonché della minore sicurezza igienico-sanitaria delle carni e delle uova, vorrei soffermarmi sul benessere del pollo “ruspante” anche sulla base dell’esperienza che ho maturato molti anni fa quando vivevo in campagna.
I miei genitori allevavano i polli e la mia famiglia, pur essendo economicamente povera, traeva un importante sostegno alimentare proprio dall’allevamento “domestico” dei volatili (oltre ai polli anche tacchini, papere, oche), dei conigli e del maiale (era solo uno). Per un certo periodo di tempo abbiamo avuto anche una capra di nome “margherita” che ci dava un po’ di latte e un paio di capretti l’anno.
Attribuisco alla possibilità di mangiare più volte la settimana alimenti di origine animale sin da bambino un mio corretto sviluppo fisico e anche mentale: Non so se la mia dieta era da considerarsi “mediterranea”, ma sicuramente equilibrata perché non mancavano i cereali, le leguminose e, nella stagione favorevole, anche frutta e verdura.
Senza entrare nei dettagli dei miei pasti e del fatto che fino a oltre venti anni giocavo a pallone anche qualche ora al giorno, vorrei prendere in considerazione il “benessere” dei polli allevati dai miei genitori.
In primavera quando qualche gallina “entrava in calore” si cercavano una quindicina di uova “gallate” e si preparava il nido di paglia dove la gallina iniziava a covarle.
Dopo 21 giorni nascevano i pulcini che si mettevano al seguito della madre.
I predatori (gatti, ratti, volpi, cani randagi) non mancavano e bisognava difendere le nidiate, ma anche gli animali adulti. Di tanto in tanto c’erano delle vere e proprie stragi e si cercava di uccidere i predatori ricorrendo anche ai fucili.
Non appena era possibile riconoscerli, la maggior parte dei galletti veniva separata e castrata per farne dei capponi. L’operazione di castrazione veniva fatta da mia nonna con un paio di normali forbici passate prima sulla fiamma. La sutura della ferita veniva fatta con un normale ago e del filo da rammendo. Come disinfettante si utilizzava della normalissima cenere. L’anestesia era ovviamente un termine totalmente sconosciuto.
I galletti “superstiti” erano destinati alla riproduzione ed erano quelli di migliore aspetto. I polli lasciati razzolare erano particolarmente esposti a malattie infettive. Non appena ci si accorgeva che qualche animale stava male, passava direttamente dal cortile alla pentola. Non a caso c’è il detto che quando si mangia una gallina vuol dire che sta male, oppure c’è una persona ammalata in famiglia che deve essere alimentata in modo adeguato.
I polli erano liberi di razzolare, ma quando arrivava il momento di catturarli per macellarli cercavano di sfuggire e bisognava rincorrerli. La loro fine era preceduta da lunghe corse.
La macellazione consisteva nello stirargli il collo e per poi lasciarli a testa un giù per facilitare il dissanguamento. L’agonia non era sempre breve.
La vita di un pollo da allevamento comincia in una incubatrice, non ha problemi di alimentazione e non deve difendersi da possibili aggressioni. E’ esente da pericoli di malattie infettive e la sua morte è istantanea.
Guardando la faccenda dal punto di vista del benessere animale sta meglio un pollo ruspante o uno di allevamento?
Forse solo agli stessi polli rimane l’ardua sentenza, ma non hanno la possibilità di parola.
Fonte: La Stampa