Oggi andiamo alla scoperta del prosciutto cotto, il primo prodotto di salumeria consumato in Italia, con una quota del 27,1% e un volume di vendita di 274.800 Ton (+4,8%, dati del 2021 sul 2020 – Fonte ASSICA Assemblea annuale 2022); anche il volume di produzione di 288.200 ton ha fatto un +6,3%.
È il salume più apprezzato dai consumatori, sia per le sue caratteristiche nutrizionali sia per la sua versatilità di impiego ed esiste anche nelle versioni “affumicate” tipo “Praga”, “grigliate” e alle erbe”.
Come si ottiene il prosciutto cotto
Il prodotto italiano si ottiene prevalentemente dalle cosce di suino intere disossate, sottoposte a salagione e quindi cotte, rispetto a quello di altri paesi europei che alle volte utilizzano i singoli muscoli della coscia completamente sgrassati e riassemblati nello stampo o insaccati a macchina.
La forma del prosciutto cotto è “stondata”; all’interno è color rosa chiaro, con bordatura di grasso sottile o più marcata (se si utilizzano cosce di maiali nostrani), che contribuisce alla pienezza del suo sapore, delicato e aroma caratteristico. Sebbene siano in costante aumento le vendite di prodotti già affettati in busta in atmosfera modificata che si ottengono disponendo le cosce e loro parti in stampi lunghi (per ottimizzare la resa di affettatura), buona parte della produzione la si ottiene modellando una singola coscia in uno stampo a pezzo intero; si tratta di tecniche di lavorazione frutto della professionalità dei nostri mastri salumieri e che si presta ad essere affettato nei nostri tanti negozi di salumeria.
Le caratteristiche
La relativamente recente introduzione nella tradizione salumiera italiana non ha potuto consentire il riconoscimento di tipicità (DOP o IGP) al prosciutto cotto. Per evitare che i prodotti italiani restassero senza tutele, dovendosi confrontare con una concorrenza internazionale che avrebbe potuto portare in Italia prodotti di qualità scadente non paragonabili a quelli nazionali, ASSICA (l’associazione industriale dei produttori) e SSICA (Stazione Sperimentale per Industria delle conserve Alimentari) di Parma, hanno definito le caratteristiche produttive di alcuni salumi italiani non classificati con IGP o DOP (oltre al prosciutto cotto, quello crudo, il salame e il culatello). Tali definizione sono state riprese dal Ministero delle Attività Produttive sulla “Disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti di Salumeria” che, sostanzialmente tutela i prodotti nazionali.
Le fasi della lavorazione
Il prosciutto cotto nella forma in cui lo conosciamo si ottiene con un processo di 8-10 giorni atraverso le seguenti fasi:
- sezionamento
- preparazione salamoia e siringatura
- zangolatura
- formatura o modellazione in stampo
- cottura e raffreddamento
- confezionamento
- pastorizzazione e raffreddamento.
Rispetto al passato le diverse fasi della lavorazione, sono state accelerate e possono essere eseguite nell’arco di 24-48 ore mediante le tecniche di siringatura e zangolatura.
La siringatura consiste in una iniezione intramuscolare mediante una macchina multiaghi che distribuisce per pompaggio una salamoia liquida all’interno della massa muscolare.
Le tecniche di salatura, nei prodotti di salumeria cotti usano l’acqua come matrice in cui sciogliere primariamente i diversi soluti come sale, zuccheri, conservanti (nitrito come additivo o come estratto naturale da vegetale che lo contengono), acido ascorbico ed eritorbico e i loro sali, aromi e spezie, oltre ad altri ingredienti ed additivi. Le saline liquide sono formulate in modo che i diversi ingredienti siano bilanciati nella formula e distribuiti all’interno delle masse muscolari, in base ad una determinata percentuale in peso o volume di iniezione, definita da ogni produttore per ogni prodotto della sua gamma. L’acqua verrà poi parzialmente persa durante la cottura o trattenuta a seconda che si utilizzino più ingredienti nelle fasce merceologiche più economiche (nel caso, va dichiarata in etichetta).
La zangolatura, invece, è un’operazione tecnologica che serve per accelerare la maturazione della carne, favorire la nitrosazione della mioglobina nel formare il complesso stabile del colore rosa violaceo del prodotto finito cotto e consentire una dispersione omogenea della salamoia in tutto il prosciutto.
La denominazione di vendita “prosciutto cotto”
La denominazione di vendita di “prosciutto cotto” indica solo il prodotto ottenuto esclusivamente da carne di coscia della specie suina. Dal 2006 pertanto non è più possibile chiamare prosciutto cotto altri parti meno nobili come la spalla cotta.
I Decreti Ministeriali identificano tre fasce di qualità che sono discriminate tra loro per il tasso di umidità, calcolato sul prodotto sgrassato e deadditivato (UPSD).
Si tratta di un parametro tecnico che deve essere certificato dalle aziende, che però non compare nella etichettatura della confezione, dove è sufficiente fornire la denonimazione di vendita come di seguito descritta, che suddivide i prosciutti cotti in:
- a) “prosciutto cotto di Alta Qualità”, che deve avere UPSD ≤ 76,50
-
b) “prosciutto cotto Scelto”, UPSD ≤ 79,50
c) “prosciutto cotto”, UPSD ≤ 82,00
Il D.M. 21 settembre 2005 e il successivo D.M. 16 maggio 2016, hanno lo scopo di tutelare il consumatore nell’acquisto di questi prodotti di salumeria, consentendogli, in base alla denominazione, di farsi un’idea degli ingredienti usati e in base a questi di essere in grado di giustificare, ai fini della scelta d’acquisto, il rapporto qualità/prezzo.
La denominazione “prosciutto cotto” è riservata al prodotto ottenuto da coscia del suino (arto posteriore) eventualmente sezionata, disossata, sgrassata, privata dei tendini e della cotenna, con impiego di acqua, sale, nitrito di sodio e nitrito di potassio eventualmente in combinazione fra loro. Nella produzione del prosciutto cotto possono essere impiegati vino, inclusi i vini aromatizzati e liquorosi, zucchero, destrosio, fruttosio, lattosio, maltodestrine (sciroppo di glucosio), proteine del latte, proteine di soia, amidi e fecole nativi o modificati per via fisica o enzimatica, spezie, gelatine alimentari, aromi, nonché gli additivi consentiti (dal Regolamento (CE) n. 1333/2008).
Prosciutto cotto scelto e Prosciutto cotto di Alta qualità
Per le due denominazioni di “prosciutto cotto Scelto” e “prosciutto cotto di Alta qualità” si sono stabilite, nel contempo, le modalità di produzione e gli ingredienti che possono essere utilizzati, oltre agli additivi consentiti dai regolamenti comunitari. Entrambe queste due categorie di prodotto sono tali se nella sezione mediana del prodotto – salvo quando il prodotto è utilizzato per la vendita preconfezionata affettata – sono riconoscibili e “chiaramente identificabili almeno tre dei quattro muscoli principali (semitendinoso, semimembranoso, quadricipite e bicipite femorale) della coscia intera del suino”.
Nel prosciutto cotto scelto si possono utilizzare tutti gli ingredienti impiegati nella produzione del prosciutto cotto.
Però nel prosciutto cotto di Alta Qualità, che identifica il prodotto di migliore qualità, non possono essere aggiunte sostanze come amidi, fecole, proteine del latte, proteine di soia e gelatine alimentari particolarmente impiegate allo scopo di trattenere acqua, né possono essere impiegati polifosfati o altri additivi (ad eccezione dell’acido ascorbico ed eritorbico e loro sali sodici, glutammato monosodico e lattato di sodio, oltre ovviamente al nitrito di sodio o potassio). Questo vale anche per un cotto porzionato/affettato da vendere a libero servizio.
La dichiarazione dei conservanti
In tutti le ricettazioni dei prosciutti si richiede comunque l’impiego come conservante del nitrito di sodio o di potassio, per la principale azione inibente della crescita del Clostridium botulinum. E laddove si decida di non utilizzare l‘additivo come previsto dai regolamenti comunitari, si deve necessariamente riportare la presenza di conservanti naturali di origine vegetale che lo contengono naturalmente.
Diventa evidente che un prosciutto cotto, per il disciplinare italiano, senza la dichiarazione di conservanti non può essere denominato come tale ma con un nome generico (di fantasia) di prodotto cotto. Diversi studi e ricerche sono in atto per sostituire completamente i nitriti con altri ingredienti che svolgono analoga funzione, data la potenziale cancerogenicità delle nitrosammine che si formano come componenti secondarie e che in ogni caso come affermano gli stessi ricercatori “dove lo si riceve (il nitrito) in realtà non fa differenza perché il nitrito è il nitrito, in altre parole il nitrito derivante da sedano o da altre verdure è esattamente lo stesso del nitrito presente nei salumi”.
L’acqua nel prosciutto cotto
Si rammenta che, se nell’elenco degli ingredienti viene dichiarata anche l’acqua, vuol dire che nel prodotto supera il 5% e questo, quindi, depone a svantaggio della qualità del salume: l’acqua dichiarata, sovente è il secondo ingrediente in quantità, sarà tanto maggiore nella denominazione di vendita “prosciutto cotto” rispetto a quella di “prosciutto cotto scelto”. Quasi impossibile però che nel “prosciutto cotto di Alta Qualità” sia dichiarata l’acqua, proprio perché non si usano ingredienti ed additivi che la trattengono e il calo ponderale della cottura è significativo.
Infine occorre osservare che per la produzione del prosciutto cotto di Alta Qualità, secondo le aspettative dei consumatori che ricercano prodotti di chiara origine italiana, è in aumento il trend che dichiara l’impiego di cosce 100% italiane, tuttavia prodotti di altrettanta buona qualità si ottengono anche con carni di provenienza comunitaria. Così per l’eccellente qualità di possono impiegare materie prime di prevalente provenienza olandese, francese o tedesca, mentre per i prodotti di media o bassa qualità si impiegano preferibilmente cosce di origine danese o spagnola.
Questo perché dato il volume di produzione, la materia prima di origine italiana, primariamente impiegata per la produzione dei DOP e IGP, non è sufficiente per coprire i fabbisogni della produzione del prosciutto cotto.
Autore Giuseppe Pastori – tecnologo Alimentare