La produzione “tradizionale” degli alimenti, sia di origine vegetale sia di origine animale, si concentra in periodi relativamente brevi ed è in funzione degli andamenti stagionali. Si hanno quindi periodi con grande abbondanza di cibo e altri in cui si corre il pericolo di non poterne disporre. Sin dall’antichità si è quindi posto il problema di riuscire a conservare il cibo prodotto per poterlo poi utilizzare nei periodi di carestia.
Gli alimenti sono costituiti da tessuti vegetali e/o animali che mantengono la loro vitalità anche dopo un certo tempo dalla produzione. In quelli freschi si possono apprezzare molto bene le caratteristiche organolettiche (sapore, odore, colore, consistenza, ecc.). Dopo tempi anche molto brevi lasciandoli nelle normali condizioni ambientali si verificano delle modifiche che li rendono meno appetibili. Prolungando i tempi di conservazione le modifiche divengono più importanti e si può verificare una vera e propria degenerazione dei tessuti che perdono la commestibilità e che possono divenire anche pericolosi.
La “degenerazioni” possono dipendere sia dal fatto che molte reazioni biochimiche dei tessuti continuano anche negli alimenti ancora “freschi”, sia dallo lo sviluppo di microrganismi.
Le reazioni biochimiche sono dovute principalmente agli “enzimi intracellulari” che provocano una “digestione” delle cellule stesse con la produzione di “metaboliti” di sapore spesso sgradevole, ma anche potenzialmente pericolosi per la salute.
I microrganismi invece utilizzano i nutrienti (proteine, zuccheri, grassi) presenti nei tessuti come “substrato” per il loro sviluppo provocando una “degenerazione” degli alimenti e anche la formazione di metaboliti ancora una volta sgradevoli e/o potenzialmente tossici.
Sia le attività enzimatiche, sia lo sviluppo dei microrganismi, sono “facilitate” dalla presenza di acqua che è presente spesso in concentrazioni considerevoli negli alimenti freschi (frutta, verdura, carne, latte, ecc.). Negli alimenti secchi invece (cereali, legumi, frutta secca, baccala, ecc.) il contenuto di acqua è modesto e di conseguenza la possibilità di reazioni degenerative si riduce fortemente..
Altro fattore determinante è la temperatura. Sia le reazioni biochimiche, sia lo sviluppo dei microrganismi nella maggior parte dei casi avvengono con facilità a temperatura ambiente; abbassandola rallentano progressivamente per quasi arrestarsi in prossimità dello zero gradi centigradi. Ciò dipende dal fatto che l’acqua si raffredda o addirittura di trasforma in ghiaccio impedendo di fatto le reazioni biochimiche e lo sviluppo dei microrganismi.
Sin dall’antichità l’uomo ha capito che conservando al freddo gli alimenti ne prolungava il periodo di “commestibilità” e ha escogitato sistemi empirici, ma estremamente efficaci. Ha infatti imparato ad utilizzare la neve e il ghiaccio in modo molto ingegnoso. In pratica si sono utilizzati dei locali naturali (grotte, caverne, ecc,) oppure dei “locali” chiamati “neviere” o “ghiacciaie” (pozzi, cantine, edifici con pareti spesse e in grado di isolare termicamente l’interno) in cui nel periodo invernale, quando erano facilmente disponibili, venivano depositati il ghiaccio e/o la neve, alternati a strati di materiali isolanti come stracci, paglia, lana; in tal modo si creavano ambienti in cui la temperatura restava molto bassa per mesi. Il cibo posto in questi locali poteva quindi conservarsi a lungo.
Quando nell’800 si riuscì a produrre il ghiaccio, vennero inventate le “ghiacciaie” domestiche che erano delle “casse” isolate termicamente in cui si mettevano delle colonnine di ghiaccio per mantenere delle basse temperature consentendo una buona conservazione del cibo. Le temperature che si raggiungevano erano simili a quelle dei nostri frigoriferi, divenuti di uso molto comune soltanto nella seconda metà del secolo scorso.
Il periodo di conservabilità degli alimenti è aumentato considerevolmente con l’introduzione dei “freezer” in cui si raggiungono temperature anche di – 20 °C. In queste condizioni le reazioni “biochimiche” degli alimenti si bloccano e si arrestano le proliferazioni microbiche. Almeno teoricamente, è possibile conservare il cibo inalterato anche per anni.
Il cibo è un bene prezioso che l’uomo ha sempre apprezzato e imparato ad utilizzarlo al meglio anche attraverso la refrigerazione. Adesso che, almeno nei Paesi economicamente più avanzati, c’è grande abbondanza e anche una ampia possibilità di conservazione, c’è minore attenzione e quantità anche importanti sono sprecate. Prima di buttare il cibo pensiamoci bene e riflettiamo su tutto quello che è stato fatto per conservarlo e che le nostre eccedenze alimentari potrebbero essere utilizzate da chi ha veramente fame.