Ruminanti ed impatto ambientale: problema vero o presunto?
Mi è capitato per le mani un libro di zootecnia del 1910. Nella sua introduzione si parla dell’allora patrimonio zootecnico italiano. Il nostro Paese era popolato da oltre 2 milioni di equini, da poco più di 6 milioni di bovini, circa 2,5 milioni di suini e quasi 14 milioni tra pecore e capre. Non si parla di conigli, polli, e neanche degli animali di affezione cani e gatti. Presumibilmente il numero era relativamente esiguo. I cittadini erano circa 35 milioni.
Dai dati disponibili risulta che in Italia attualmente gli equini sono circa 400.000, i bovini circa 7 milioni, i suini intorno ai 9 milioni e gli ovini sono quasi dimezzati a 8 milioni. Sono enormemente aumentati polli, conigli e tacchini, che nel complesso superano abbondantemente i 600 milioni. Infine i cani ed i gatti sono almeno 10 milioni. I cittadini sono 60 milioni.
È molto diffusa l’opinione che gli erbivori, ed i ruminanti in particolare, siano tra i maggiori responsabili della emissione dei gas “serra” e che quindi la loro presenza dovrebbe essere contenuta. Se così è, il nostro Paese è un fulgido esempio di sobrietà, perché nonostante il forte incremento demografico non ha aumentato il numero di bovini ed ha quasi dimezzato il numero degli ovini. Inoltre i bovini sono allevati con criteri tali da aumentare l’efficienza degli alimenti e quindi ridurre le emissioni di CO2 e di metano. I ruminanti inoltre si nutrono prevalentemente di foraggi e sono scarsamente competitori alimentari dell’uomo.
Da queste elementari osservazioni si può facilmente intuire che, almeno in Italia, appare strano puntare il dito contro gli allevamenti in generale e dei ruminanti (bovini ed ovini) in particolare. Forse bisognerebbe cominciare a ragionare in modo complessivo su quali forme di zootecnia e di agricoltura debbano essere attuate per aumentare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale. Paradossalmente, forse, potrebbe essere utile aumentare il numero di ruminanti sviluppando tecniche di alimentazione tali da ridurre l’emissione dei gas serra.
Per gli altri animali è necessario studiare le possibilità di migliorare l’efficienza nutritiva degli alimenti che vengono somministrati, considerato che per i suini ed i polli una buona parte dei nutrienti ingeriti vengono eliminati per via fecale. In ogni caso, sempre facendo riferimento al nostro Paese, il contributo alla emissione di gas con effetto serra da parte dei ruminanti dovrebbe essere veramente modesto.
Probabilmente era percentualmente maggiore all’inizio del secolo scorso, quando il loro numero era più elevato e le “sorgenti” di emissione erano minori; allora però il problema del “riscaldamento globale” era totalmente inesistente.
Il vero problema è invece l’emissione di CO2 che avviene con la combustione dei carburanti, del carbone e del gas. Forse è giunto il momento di far capire ai cittadini che lo spostamento da casa al lavoro con la propria utilitaria fa più danni all’ambiente di una mucca che se ne sta tranquillamente a ruminare nella sua stalla. (Agostino Macrì, Fonte “Cibo e salute” de La Stampa del 20.01.2015)