Salmone: il consumo crea problemi alla salute?
Il pesce e i prodotti ittici, incluso il salmone, rappresentano una preziosa fonte naturale di proteine, minerali e vitamine. Inoltre il grasso è ricco di acidi grassi polinsaturi omega-3 (PUFA), le cui proprietà benefiche sono ampiamente riconosciute. Sul mercato si trovano sia pesci “selvatici” sia pesci di allevamento: i primi risentono delle condizioni ambientali in cui vivono, mentre i secondi sono tenuti in ambienti costantemente monitorati e vengono alimentati con mangimi altrettanto controllati.
Alcuni mari, particolarmente pescosi, sono contaminati da sostanze chimiche anche pericolose come gli organoclorurati (DDT, diossine e PCB cioè policlorobifenili).
Le diossine e i PCB sono inquinanti industriali molto diffusi, caratterizzati da un’elevata persistenza ambientale e una marcata lipofilicità che conferiscono, in particolar modo ai PCB, un forte potenziale di biomagnificazione e di bioaccumulo. Per tali proprietà possono introdursi nella catena trofica e accumularsi in varie derrate alimentari.
È bene tenere presente che nei pesci, la concentrazione dei contaminanti varia in funzione dello stato chimico-fisico del contaminante stesso, della specie ittica, dello stato fisiologico del pesce, del luogo di cattura, della stagione ed è fortemente condizionata dalle abitudini alimentari dell’animale.
In alcuni casi, i pesci di questi mari sono quindi a loro volta contaminati e le autorità sanitarie li sottopongono ad analisi e controlli sistematici prima dell’immissione in commercio.
Per contro alcune specie ittiche ampiamente consumate ed in particolare i salmoni provengono da impianti di acquacoltura. La loro alimentazione è basata sull’impiego di farine ottenute da sottoprodotti della pesca di scarso valore economico e, molto spesso, questi ultimi provengono da zone di pesca contaminate e quindi sono altrettanto ricchi di inquinanti organici (diossine e PCB).
Anche in questo caso la legislazione ci viene in aiuto ed impone dei limiti di tolleranza per i mangimi e per le farine di pesce.
In acquacoltura gli animali vengono alimentati con mangimi per tutto il corso della loro vita, quindi l’eventuale presenza di piccole quantità di contaminanti liposolubili vengono lentamente accumulate sino a raggiungere concentrazioni relativamente elevate.
In ogni caso, come già accennato, i residui non devono superare i valori limite definiti dalla UE. Questi limiti sono stati considerati non sufficientemente sicuri da parte di alcuni paesi ed in particolare dalla Svizzera, che ha ritenuto opportuno segnalare alle popolazioni a rischio (come bambini e donne in gravidanza) tali pericoli invitandoli a limitare il consumo di salmone norvegese all’interno della propria dieta. Dunque anche se i pesci di allevamento, che nel caso dei salmoni rappresentano la quasi totalità, danno ampie garanzie rispetto a quelli “selvatici”, si segnala la problematica legata a consumi eccessivi da parte delle fasce più sensibili della popolazione. (Martina Bernardi)